lunedì 30 novembre 2009

Sin ti jamas

Dell'iniziativa ne ho sentito parlare per la prima volta da Emma Bonino durante la seconda edizione degli Stati generali degli immigrati, sabato scorso a Milano. Si chiama “24 ore senza” ed è una forma di protesta, ma credo sia meglio definire di dimostrazione, ovviamente pacifica, pensata dagli immigrati che vivono in Francia. Il concetto è tanto semplice quanto rivoluzionario: consiste nell'astensione da parte di tutto il corpo immigrato da qualunque tipo di attività in grado di produrre effetti economici ma non solo. Per un giorno intero non si lavora, non si compra, i bambini non vanno a scuola, non si accende la tv. Così, per rendere rapidamente ed efficacemente l'idea di come se la caverebbe il Paese senza di loro e, soprattutto, senza l'apporto del loro lavoro.
Sarebbe davvero interessante vederla in atto anche in Italia. Così, tanto per riprendere a discutere solo dopo di cassaintegrazione, croci sui muri e sul Tricolore (che quando fa comodo si ricorda che è il simbolo dell'identità e dell'unità nazionale), campanili e minareti. Quando quel giorno verrà sarò tra quanti, ventiquattr'ore dopo, scenderanno in strada e punteranno il dito.

Gli Stati generali, son tutti qua

venerdì 27 novembre 2009


E' stata fino ad oggi somministrata a oltre un milione e mezzo di donne in Europa e a più di 650mila negli Usa. Nel 2005 l'Organizzazione mondiale della Sanità l'ha inserita nella lista dei farmaci essenziali. Il primo Paese Ue a introdurla fu la Francia, nel 1988. Contrari all'utilizzo l'Islanda, l'Irlanda, la Repubblica Ceca, la Polonia, la Slovacchia, la Bulgaria, la Bielorussia*, la Moldavia, la Bosnia, la Serbia, la Macedonia, l'Albania, la Turchia. Che dire, sul boicotaggio alla Ru 486 indubbiamente l'Italia è in buona compagnia. D'altro canto siamo fanalino di coda anche per tutto il resto, perché smentirsi? Perché toglierci anche una delle poche certezze che abbiamo fin qui faticosamente conquistato?

Siamo un Paese che annaspa, che non riesce a regolarsi muovendosi in una dialettia democratica che in altri Stati danno ormai come acquisita e indiscutibile. Ed ecco la consueta riconferma dinanzi all'assolutismo del ricatto politico, dell'oscurantismo religioso, dello scambio di favori tra poteri forti. Il governo non può permettesi di inimicarsi il potentato vaticano e continuare a ripeterlo ormai pare non sortire più alcun effetto. E pazienza se per farlo si passa sopra il dolore di centinaia di migliaia di donne che si ritrovano davanti alla scelta più dolorosa. Tanto vale continuare a mutilarne il corpo, oltre l'anima. Ma che volete, i fondamentalisti dal punto di vista culturale e religioso sono sempre gli altri, ce li abbiamo mica anche in casa.

E soprassiedo sulle sofferenze degli ultimi, perché lor signori hanno insito nel loro modo di vedere le cose e di rapportarsi ai problemi che tanto chi potrà si rivolgerà alle strutture sanitarie all'estero, così come già accade per la fecondazione assistita. E così come è sempre stato.

Non siamo un Paese libero, un Paese che lascia libertà di decisione. Siamo un gregge, cinquant'anni di Costituzione non ci hanno insegnato nulla e pace per chi ci è schiattato.

In Italia serve un parere tecnico del Ministero della Salute per accertare la compatibilità della somministrazione della pillola abortiva con la legge 194. Soddisfatti della decisione Buttiglione e Gasparri, che l'hanno definita "una vittoria di civiltà". D'altronde, non mi sovvengono in mente esempi più nitidi di personalità che sono da sempre vessilli dell'anti-oscurantismo, della libertà di pensiero e di coscienza, di onestà intellettuale. E magari si sentiranno anche legittimati a parlarne, essendo corredati di utero. D'altronde, nulla è impossibile a Dio. L'Italia, che tristezza.

*La Bielorussia è a tutt'oggi l'unico Stato europeo dove ancora vige la pena di morte

giovedì 26 novembre 2009

Afghanistan, più soldati per una guerra persa


Obama ha deciso: la campagna afghana non si può vincere, quindi mandiamo più soldati sul terreno. La logica di questa scelta non è ovviamente strategica, ma puramente domestica. Il presidente degli Stati Uniti sa che deve chiudere in un modo o in un altro la partita dell'Afghanistan entro il 2011. Obiettivo: evitare che diventi argomento della campagna presidenziale del 2012. Se i soldati americani fossero ancora impegnati in massa contro gli insorti afghani, continuando a subire perdite importanti, la rielezione di Obama sarebbe a rischio.

Per finire una guerra che non si può vincere, teoricamente c'è una via più diretta. Alzare bandiera bianca, e ritirarsi in buon ordine, vessilli al vento. Ma questa strada, che risparmierebbe molte vite umane, è domesticamente impraticabile. Sarebbe un'ammissione di fallimento, equivalente alla rinuncia di Obama alla ricandidatura. Lo spettro di Jimmy Carter, che ormai aleggia sulla Casa Bianca, finirebbe così per materializzarsi.

L'unica alternativa a questo punto, ragionando in termini di politica interna, è quella decisa da Obama. Ossia l'invio di circa 30mila uomini sul terreno, da concentrare nelle città, a sostegno della cosiddetta afghanizzazione della guerra. In parole povere, si tratta di preparare gradualmente, ma velocemente, il passaggio del testimone della sconfitta dagli americani ai loro "amici" afghani. Perché alla fine di questo gioco, ai collaborazionisti locali di Obama, Karzai in testa, non resterà che aggrapparsi disperatamente all'ultimo elicottero in partenza dall'ambasciata Usa di Kabul, prima che i loro nemici gli taglino la gola.Tra la salvezza dei suoi "figli di puttana" afghani e la sua rielezione, Obama non può avere dubbi.

Dal punto di vista del presidente degli Stati Uniti, questo approccio ha un senso. Il problema per noi è che siamo parte della guerra senza potervi/volervi difendere i nostri interessi, a cominciare dalla sicurezza dei nostri uomini sul campo.
Già nelle scorse settimane gli emissari di Washington hanno sondato gli alleati europei e non solo, sollecitandone il rafforzamento dei rispettivi contingenti e la disponibilità di risorse civili e finanziarie a supporto della cosiddetta afghanizzazione. Nei prossimi mesi altri soldati affluiranno sotto le bandiere della missione a guida Nato nel contesto di una campagna militare sulla quale non hanno alcun controllo.