martedì 22 febbraio 2011

Se non ora, quando? Mai

Parto piano, proprio piano piano. Tengo tengo tengo, mi impongo di non oltrepassare la linea della decenza. Poi faccio come il Titanic in avaria: comincio a lanciar petardi. A cadenza regolare l'uno dall'altro, toc, pausa, toc, come scanditi da un metronomo. A mo' di avvisaglia, sempre tenendo a bada la bile. Se poi però quello che mi sta di fronte persevera - vuoi perché un po' naif, vuoi perché duro di comprendonio, vuoi perché 'taccabrighe inside - allora, gente, è il Vajont. Dovesse essere pure maleducato, è la fine.

Nell'ultima settimana è andata un po' così, per vari motivi, e non ha aiutato l'integrità dei nervi - miei e quelli di chi mi sta intorno - il fatto che, ne dico una, un partito di governo abbia sabotato una trasmissione tv perché teme gli scossoni che possono arrivare lasciando acceso un microfono davanti alle bocche della sua base elettorale. Siamo una democrazia, mi pare, ricordiamocelo sempre.

Ne dico un'altra. Sono passati due anni da quando Beppino Englaro ha combattuto una guerra - perché questo è stata - per far valere i diritti di sua figlia Eluana. Ebbene, stiamo ancora qua a discettare e cercare di far capire anche ai muri che in un Paese degno di essere considerato civile uno può scegliere come disporre della propria vita davanti alla malattia. Dovrebbe essere tra i principi inviolabili della nostra Costituzione, tra i diritti inalienabili via che, ops, non c'è, perché c'è gente - in questa sventuratissima Italia - che crede di potersi arrogare il diritto di decidere e disporre anche della vita di chi la pensa in maniera diversa.

E poi c'è la Libia. E allora arrivo allo stadio finale. Non è un silenzio assordante, quello del governo davanti ai morti. Anche adesso, mentre scrivo, piovono razzi sulla gente. Scrivo e guardo le agenzie e mi convinco che no, lo Sato italiano non è che non ne vuole sapere di quanto accade a un tiro di schioppo da casa nostra. La sua posizione è chiara fin dall'inizio: la nostra politica, tutta, e la nostra finanza, sempre tutta, stanno col regime, perché è col regime che hanno stretto accordi - politici, economici e commerciali -, è col regime che si sentono al sicuro. Siamo riusciti a far finta di niente quando i razzi libici sono arrivati a Lampedusa, figuriamoci adesso che si stanno lavando i loro panni in casa propria. Perché non sono nata nell'età della Pietra, mi domando, perché?

domenica 13 febbraio 2011

Giusto perché Voi siete il Sire, fan 5mila euro: è un prezzo di favor

Il punto è che a me questa cosa della dignità ferita della donna italica non ha mai convinto. Il fatto è che ho passato un'intera settimana a discuterne con le mie amiche più care, con Roberto, con le colleghe infervorate e con quanti mi hanno invitato via Facebook e con le mail a prendere parte al presidio di questa domenica in piazza Cairoli, a Milano. Quello che penso l'ho sintetizzato qualche post più giù: non credo basti una vagonata di siliconeidi imbaldracchite a cancellare anni di lotta sociale e ad infangare la dignità di milioni di persone per bene.

Tant'è che pensavo di non andare. E non stavo andando: ho preso Sansone e ce ne siamo andati al parco, così da lasciare Rob a scrivere in santa pace. Ah, che domenica degna di essere vissuta. Poi qualcosa ha fatto clic: ho preso e sono andata. Non è la dignità della donne la posta in gioco. O, almeno, non è solo quella. E' la dignità degli uomini, minata e calpestata allora allo stesso modo, è quella dei giovani, degli studenti, dei lavoratori onesti, di chi le cose che ha se l'è sudate, dei bambini (soprattutto di quelli fatti crescere senza infanzia). In altre parole, è la dignità dei cittadini.

Meravigliosa Milano sotto la pioggia: una settimana di primavera e proprio oggi una pioggerellina sottile che sembrava non volesse dar tregua. Be', non ha scoraggiato nessuno: il centro è stato invaso da gente come me. Giovani votati a San Precario, studenti che nei cartelli si proclamavano "nipoti di Einstein", coppie che hanno condiviso il resto mano nella mano, come fossero i miei genitori. Bilancio: facce sorridenti in ogni dove e la speranza del Pm10 in picchiata.

domenica 6 febbraio 2011

Per quando noi non ci saremo

Qualcosa è cambiato, dite? Non lo so. Qualcosa cambierà? Non so nemmeno questo, più che altro ho quasi paura a rispondere. E se poi non cambia niente? Un momento, mi sale l'ansia, provo a chiederlo anche a Roberto, che era ieri con me al Palasharp di Milano. Ci vorrà tempo, dice. Ad ogni modo, è più ottimista.

Certo è che mi sono sentita meno sola, meno fessa nel perseverare a cercare di essere una persona migliore, una buona cittadina. "Vado a letto tardi anch'io la sera - ha detto nel corso del suo intervento Umberto Eco - ma perché leggo Kant". Allora è vero, no perché da un po' di tempo a questa parte cominciavo a sentirmi specie in via d'estinzione e faccio una gran fatica a rapportarmi con chi non la pensa come me. Prima cercavo il dialogo, ascoltavo le ragioni del prossimo, le anche accettavo. Adesso mi incazzo e mi viene solo un gran mal di stomaco.

Giornali e tv dicono che eravamo in diecimila. Eheheh, hai voglia a screditare e a far finta di niente: certo, il processo di rincretinimento dell'italiano medio, partito col Drive-in, ha fatto i suoi danni. Ma come in tutte le tragedie, ci sono gli scampati. Come a Hiroshima, come alla Shoah, come alla campagna di Russia. Ma sarà un processo che richiederà anni e fatica, riparare ai danni fatti sarà lungo e difficile.

Quello che serve all'Italia, più che il semplice rinnovo dell'intera classe politica, ormai, temo sia una profonda mutazione antropologica. Ci vorranno decenni, ad essere ottimisti. Nel caso, noi non faremo in tempo a vederlo, nemmeno i nostri figli. Ma tocca far presto, anche se la scienza progredirà e quindi i nostri nipoti avranno un'aspettativa di vita più lunga della nostra.