sabato 5 dicembre 2009

Dieci, cento, mille Tettamanzi


«Mi ha colpito nei giorni scorsi, a seguito dello sgombero di un gruppo di famiglie rom accampate a Milano, la silenziosa mobilitazione e l’aiuto concreto portato loro da alcune parrocchie, da tante famiglie del quartiere preoccupate, in particolare, di salvaguardare la continuità dell’inserimento a scuola – già da tempo avviato – dei bambini. La risposta della città e delle istituzioni alla presenza dei rom non può essere l’azione di forza, senza alternative e prospettive, senza finalità costruttive».

Dallo sgombero delle famiglie rom di Rubattino al rischio di infiltrazioni mafiose nei cantieri delle grandi opere, dalla crisi economica all'Expo, dall'abuso di alcol e droga alla questione del crocifisso nelle scuole: sono alcuni dei temi affrontati dall'Arcivescovo di Milano, cardinale Dionigi Tettamanzi, nel tradizionale discorso alla città di venerdì 4 dicembre nella basilica di Sant'Ambrogio. Il titolo del discorso, «Milano torni grande con la sobrietà e la solidarietà», sottolinea l'auspicio di fondo del cardinale: dare un senso nuovo al desiderio, legittimo, di «rendere grande Milano». «Siamo consapevoli che non bastano gli edifici, i ponti, i grattacieli, le strade a rendere ricca e interiormente viva una città. Da sempre – a Milano e ovunque – sono gli abitanti la ricchezza più grande di una città».

Conoscete ormai quanta stima nutra per questa persona, per l'intelligenza e la forza d'animo di questa persona. Conoscete anche la mia avversione verso le gerarchie ecclesiastiche. E sapete anche quanto il buon Dionigi ne rappresenti un'eccezione. Figurarsi se uno del genere potranno mai farlo papa, avevo scritto un bel po' di tempo fa. Già.
(Foto Fotogramma)

lunedì 30 novembre 2009

Sin ti jamas

Dell'iniziativa ne ho sentito parlare per la prima volta da Emma Bonino durante la seconda edizione degli Stati generali degli immigrati, sabato scorso a Milano. Si chiama “24 ore senza” ed è una forma di protesta, ma credo sia meglio definire di dimostrazione, ovviamente pacifica, pensata dagli immigrati che vivono in Francia. Il concetto è tanto semplice quanto rivoluzionario: consiste nell'astensione da parte di tutto il corpo immigrato da qualunque tipo di attività in grado di produrre effetti economici ma non solo. Per un giorno intero non si lavora, non si compra, i bambini non vanno a scuola, non si accende la tv. Così, per rendere rapidamente ed efficacemente l'idea di come se la caverebbe il Paese senza di loro e, soprattutto, senza l'apporto del loro lavoro.
Sarebbe davvero interessante vederla in atto anche in Italia. Così, tanto per riprendere a discutere solo dopo di cassaintegrazione, croci sui muri e sul Tricolore (che quando fa comodo si ricorda che è il simbolo dell'identità e dell'unità nazionale), campanili e minareti. Quando quel giorno verrà sarò tra quanti, ventiquattr'ore dopo, scenderanno in strada e punteranno il dito.

Gli Stati generali, son tutti qua

venerdì 27 novembre 2009


E' stata fino ad oggi somministrata a oltre un milione e mezzo di donne in Europa e a più di 650mila negli Usa. Nel 2005 l'Organizzazione mondiale della Sanità l'ha inserita nella lista dei farmaci essenziali. Il primo Paese Ue a introdurla fu la Francia, nel 1988. Contrari all'utilizzo l'Islanda, l'Irlanda, la Repubblica Ceca, la Polonia, la Slovacchia, la Bulgaria, la Bielorussia*, la Moldavia, la Bosnia, la Serbia, la Macedonia, l'Albania, la Turchia. Che dire, sul boicotaggio alla Ru 486 indubbiamente l'Italia è in buona compagnia. D'altro canto siamo fanalino di coda anche per tutto il resto, perché smentirsi? Perché toglierci anche una delle poche certezze che abbiamo fin qui faticosamente conquistato?

Siamo un Paese che annaspa, che non riesce a regolarsi muovendosi in una dialettia democratica che in altri Stati danno ormai come acquisita e indiscutibile. Ed ecco la consueta riconferma dinanzi all'assolutismo del ricatto politico, dell'oscurantismo religioso, dello scambio di favori tra poteri forti. Il governo non può permettesi di inimicarsi il potentato vaticano e continuare a ripeterlo ormai pare non sortire più alcun effetto. E pazienza se per farlo si passa sopra il dolore di centinaia di migliaia di donne che si ritrovano davanti alla scelta più dolorosa. Tanto vale continuare a mutilarne il corpo, oltre l'anima. Ma che volete, i fondamentalisti dal punto di vista culturale e religioso sono sempre gli altri, ce li abbiamo mica anche in casa.

E soprassiedo sulle sofferenze degli ultimi, perché lor signori hanno insito nel loro modo di vedere le cose e di rapportarsi ai problemi che tanto chi potrà si rivolgerà alle strutture sanitarie all'estero, così come già accade per la fecondazione assistita. E così come è sempre stato.

Non siamo un Paese libero, un Paese che lascia libertà di decisione. Siamo un gregge, cinquant'anni di Costituzione non ci hanno insegnato nulla e pace per chi ci è schiattato.

In Italia serve un parere tecnico del Ministero della Salute per accertare la compatibilità della somministrazione della pillola abortiva con la legge 194. Soddisfatti della decisione Buttiglione e Gasparri, che l'hanno definita "una vittoria di civiltà". D'altronde, non mi sovvengono in mente esempi più nitidi di personalità che sono da sempre vessilli dell'anti-oscurantismo, della libertà di pensiero e di coscienza, di onestà intellettuale. E magari si sentiranno anche legittimati a parlarne, essendo corredati di utero. D'altronde, nulla è impossibile a Dio. L'Italia, che tristezza.

*La Bielorussia è a tutt'oggi l'unico Stato europeo dove ancora vige la pena di morte

giovedì 26 novembre 2009

Afghanistan, più soldati per una guerra persa


Obama ha deciso: la campagna afghana non si può vincere, quindi mandiamo più soldati sul terreno. La logica di questa scelta non è ovviamente strategica, ma puramente domestica. Il presidente degli Stati Uniti sa che deve chiudere in un modo o in un altro la partita dell'Afghanistan entro il 2011. Obiettivo: evitare che diventi argomento della campagna presidenziale del 2012. Se i soldati americani fossero ancora impegnati in massa contro gli insorti afghani, continuando a subire perdite importanti, la rielezione di Obama sarebbe a rischio.

Per finire una guerra che non si può vincere, teoricamente c'è una via più diretta. Alzare bandiera bianca, e ritirarsi in buon ordine, vessilli al vento. Ma questa strada, che risparmierebbe molte vite umane, è domesticamente impraticabile. Sarebbe un'ammissione di fallimento, equivalente alla rinuncia di Obama alla ricandidatura. Lo spettro di Jimmy Carter, che ormai aleggia sulla Casa Bianca, finirebbe così per materializzarsi.

L'unica alternativa a questo punto, ragionando in termini di politica interna, è quella decisa da Obama. Ossia l'invio di circa 30mila uomini sul terreno, da concentrare nelle città, a sostegno della cosiddetta afghanizzazione della guerra. In parole povere, si tratta di preparare gradualmente, ma velocemente, il passaggio del testimone della sconfitta dagli americani ai loro "amici" afghani. Perché alla fine di questo gioco, ai collaborazionisti locali di Obama, Karzai in testa, non resterà che aggrapparsi disperatamente all'ultimo elicottero in partenza dall'ambasciata Usa di Kabul, prima che i loro nemici gli taglino la gola.Tra la salvezza dei suoi "figli di puttana" afghani e la sua rielezione, Obama non può avere dubbi.

Dal punto di vista del presidente degli Stati Uniti, questo approccio ha un senso. Il problema per noi è che siamo parte della guerra senza potervi/volervi difendere i nostri interessi, a cominciare dalla sicurezza dei nostri uomini sul campo.
Già nelle scorse settimane gli emissari di Washington hanno sondato gli alleati europei e non solo, sollecitandone il rafforzamento dei rispettivi contingenti e la disponibilità di risorse civili e finanziarie a supporto della cosiddetta afghanizzazione. Nei prossimi mesi altri soldati affluiranno sotto le bandiere della missione a guida Nato nel contesto di una campagna militare sulla quale non hanno alcun controllo.

venerdì 23 ottobre 2009

Gli Stati Generali degli Immigrati: quando il mondo passa da Milano


Uno spazio per chi crede nell'integrazione, vuole la multietnicità e sogna un mondo a colori. Un luogo di incontro per far dialogare italiani e stranieri. Perché è arrivato il momento di diventare protagonisti del cambiamento.

giovedì 8 ottobre 2009

Cose di questo mondo



Sbirciando svogliatamente su cosa ci offrono quest'oggi i principali siti di informazione online del nostro Paese, mi sono imbattuta in queste mappe del mondo. Ho scoperto che - dopo essere riuscita a divincolarmi da Lodi Alfani bocciati, soliti teatrini della politica italica, commenti su cronache di disastri annunciati, i vari George Clooney co' le ultime fiamme, lievi scosse di terremoto sparse in tutta la penisola (che ci son sempre state e che nessuno percepisce ma) che continuano a fare notizia - la visione dell'urbe terracqueo lisergico, assieme alla notizia dei tre milioni di italiani che soffrono la fame, è quanto mi ha fatto più impressione e continua a restarmi in mente.

E anche nel caso in cui facciate fatica a mandare a memoria i confini dell'Iran e a sapere in quale emisfero si trovi di preciso la Tasmania, provate a dare un'occhiata anche voi.

mercoledì 26 agosto 2009

Se non è revisionismo questo

Che c'entrano le gerarchie vaticane con la festa della Perdonanza de L'Aquila? E' come invitare Hitler alla Giornata della cultura ebraica.

Non servono a niente le mie parole, ma quelle di un grande scrittore sì: leggete Ignazio Silone, L'avventura di un povero cristiano.

domenica 23 agosto 2009

Voi che vi sentite sicuri nelle vostre tiepide case


"È SINGOLARE (non trovo altro aggettivo) il comportamento della stampa nazionale sulla strage dei 73 migranti uccisi dal mare tra Malta e Lampedusa.
Il primo giorno, con notizie ancora incerte, tutti hanno aperto su quell'avvenimento: il numero delle vittime, la storia raccontata dai cinque sopravvissuti, i dubbi del ministro Maroni sulla loro attendibilità, le responsabilità della Marina maltese, i primi commenti ispirati al "chissenefrega" di Bossi e di Calderoli.

Ma dal secondo giorno in poi i nostri giornali hanno voltato la testa dall'altra parte. Le notizie nel frattempo sopraggiunte sono state date nelle pagine interne. (...) Comincio da qui e non sembri una stravaganza. Comincio da qui perché la timidezza, la prudenza, il dire e non dire dei grandi giornali nazionali sono lo specchio d'una profonda indifferenza dello spirito pubblico, ormai ripiegato sul tirare a campare del giorno per giorno, senza memoria del passato né prospettiva di futuro, rintronato da televisioni che sfornano a getto continuo trasmissioni insensate e da giornali che debbono ogni giorno farsi perdonare peccati di coraggio talmente veniali che qualunque confessore li manderebbe assolti senza neppure imporre un "Pater noster" come penalità minimale.

(...) Alla vergogna c'è un limite. Noi l'abbiamo varcato da un pezzo nella generale apatia e afasia".
Eugenio Scalfari (continua a leggere)

Cos'è che ci rende unici, diversi dagli altri esseri viventi? Il senso di umanità, mi viene da rispondermi. E come rimanere davanti a casi del genere, dove quello che è venuto a mancare è proprio il senso d'umanità? Cos'è che legittima il nostro stare al mondo se siamo capaci di lasciare accadere - per non dire provocare - olocausti simili? Non ci stiamo abbrutendo, siamo all'orrore puro. Orrore, ecco cos'è: ci stiamo assuefacendo al nostro orrore.

giovedì 20 agosto 2009

Luce, solo luce che trasforma tutto il mondo in un giocattolo






"Un libro. Leggimene una pagina. Non posso. I miei occhi sono trascinati oltre la pagina".
Un ottico - Antologia di Spoon River, Edgar Lee Masters






"Fabrizio ci ha insegnato l'alfabeto dell'amore, Fernanda l'antologia dell'amore. Cara Nanda ti saluto, shalom, salam, pace, ciao signora America, ciao signora libertà, ciao signorina anarchia".

Se Dio esiste davvero, fatemelo ringraziare per averci dato anche don Gallo.

(Foto La Presse)

giovedì 18 giugno 2009

Una voce per l'Iran


"Spero che questa sia la volta buona per avere una vera democrazia in Iran". E' la reazione di Fariba Saudino, un'iraniana che vive a Torino da 17 anni, dopo l'annuncio da parte del principale organismo legislativo dell'Iran - il Consiglio dei Guardiani della Costituzione - che si è detto ''pronto'' a ricontare i voti delle elezioni. "Non pensavano forse che la gente avesse avuto una reazione simile", ha raccontato a Tgcom.

domenica 10 maggio 2009

Una storia di amore e di vita

Lo scorso 4 maggio questo bel signore qui a fianco ha compiuto i suoi primi 70 anni e questo post - vi avverto prima così magari desistete dall'intento di proseguire oltre - non vuole far altro che cogliere l'occasione per dirgli grazie di esserci e, soprattutto, di scrivere.

"Essere un israeliano di 70 anni è come essere un americano di 250 e avere conosciuto Lincoln e George Washington", ha scherzato il giorno del suo compleanno. Viene da sorridere a quanti - come la sottoscritta - ricordano di quel suo incontro, poco più che ventenne, con Ben Gurion e la discussione che ne nacque - ai limiti dell'assurdo - su Spinoza.

Amos Oz è Israele, uno dei pochi che più di tutti ne ha assorbito, capito, osservato e studiato l'essenza. E' senso vivo e pulsante della profondità dell'anima e che quindi non conosce bandiere ma empatia totale, commozione pura, gioia e rivoluzione.

mercoledì 6 maggio 2009

Nel grembo della terra ho seminato un grido. Due

Più che una canzone, gli Stati Generali della musica italiana

Un mese dal terremoto, una voce dalla tendopoli

martedì 28 aprile 2009

Aggiungi un posto a tavola

Dopo aver visto in televisione un documentario sul Medioevo che pullulava di terremoti, bancarotte, carestie, epidemie, dazi, balzelli, crociati, pirati, monaci questuanti, profeti di sventura e cavalieri che vollero farsi re.
Dopo essermi accorto che non era un documentario sul Medioevo, ma un’edizione del telegiornale (forse la presenza di Capezzone e Cicchitto avrebbe dovuto insospettirmi).
Dopo essermi alzato dalla poltrona e aver controllato che il ponte levatoio e le sbarre - pardon, l’antifurto e le grate - fossero in grado di reggere l’urto dei clandestini accampati giù a valle.
Dopo aver infilato l’elmo - il casco - sulla testa per proteggermi dai pericoli della strada, la mascherina sulla bocca per proteggermi dall’influenza suina (se si incrocia con l’aviaria avremo i famosi porci con le ali), l’impermeabile sulle spalle per proteggermi dalla bufera che imperversa nei cieli, il giubbotto antiproiettile sulle zone sensibili per proteggerle dall’insidia degli orchi e i peli sullo stomaco per proteggerlo dal ricatto dei postulanti che si assembrano ai semafori con l’occhio liquido.
Dopo aver fatto tutto questo, redatto testamento ed essermi confessato, ho preso la decisione più perigliosa della mia vita. Ho aperto la porta e sono uscito di casa.

Massimo Gramellini, Tempo di eroi, su La Stampa di oggi

lunedì 27 aprile 2009

Turista, non fai da te?

Avventura (a lieto fine) a largo delle coste somale. Ascoltate qui

mercoledì 8 aprile 2009

Nel grembo della terra ho seminato un grido


"J'Abbruzze... ciada' veni'... pe' vvede' je sorrise strette deje contadine, l'abbraccio delle donne, le'ndustrie che hann pers e la terra che vvo' vence... sempre... anche quanne fa male cusci'! J'Abbruzze è lla terra me' e i' me sende sole quanne me dicene "ma addo' sta?"... ma i' me sende forte quanne po' ce lle diche!!! Spigni Compa', rinasce più forte ogni vorta l'Abruzzo".


Ho scoperto una cosa che non credevo di avere e l'ho scoperta nella maniera peggiore, col dolore. Provando dolore e un senso di inadeguatezza e di impotenza mai provato nella vita. Ho scoperto l'orgoglio di essere nata lì, di essere cresciuta lì, di sentire di dover tornare lì ogni qual volta ho bisogno di sentirmi rassicurata dalle mie radici. E soffro. Vorrei sentire meno stronzate, meno opinioni di perfetti ignoranti che in un momento del genere si ergono a esperti, meno frasi fatte, meno sciacallate, comprese quelle dei colleghi giornalisti che devono fare sempre quelli che hanno capito tutto. Abbiate rispetto per il dolore - che non possiate mai provare ma -, che non essendo dei nostri, non potrete mai capire. Siamo abruzzesi, inscalfibili per natura, siamo il popolo che forse più di tutti si riconosce nella sua proverbiale testardaggine, i suoi paraocchi che alla lunga portano all'obiettivo, la capacità di aspettare il momento buono. Che arriva sempre e ripaga del sacrificio subito. Chi semina raccoglie, ci insegnano quando siamo bambini. E questa stessa mia gente saprà uscire anche da questo inferno. Gli abruzzesi ce la fanno.
(Foto Ansa)

mercoledì 1 aprile 2009

Centinaia di questi anni, Tel Aviv


Tel Aviv compie cent'anni e al suo primo secolo arriva in splendida forma. Sintesi estrema: 400mila abitanti, business, cultura, movida, tecnologia, tendenze, atmosfera da Manhattan Londra Berlino Parigi, età media 30 anni, un arenile e una luce incredibili, il più ricco esempio al mondo di edifici Bauhaus (patrimonio protetto Unesco), vitalità ed energia mai viste, un'edizione di Time Out da fare invidia, bistrot, jazz, teatri, ristoranti, mostre, concerti, balli, gallerie d'arte, rave party, ritrovi gay, shopping.

"Tel Aviv è un ritmo". Definizione/sensazione perfetta quella di Dan Muggia, 55 anni, laurea in cinema alla Beit-Zvi Drama School, master newyorkese, critico e curatore di festival (a Milano ha appena organizzato la rassegna del film israeliano), docente al Sapir College di Sderot ("Record di otto razzi Kassam in una sola lezione"). Felpa nera, pantalonacci beige, starebbe bene in una storia di Woody Allen: "Se ami le atmosfere vibranti, puoi vivere solo qui. E' come New York però mia figlia 14enne esce la sera, io sono tranquillo, mio figlio di 8 gioca a pallone sotto casa". "In più sono israeliano". E riesce a studiare Valzer con Bashir, Beaufort, Yossi&Jagger, le grandi opere che da qui sono venute e verranno.

Grazie a Stefano Jesurum

martedì 24 marzo 2009

L'insalata era nell'orto


L'idea l'hanno avuta due fratelli di Santhià, in provincia di Vercelli: coltivare "orti a distanza" personalizzati via Internet per quanti non hanno la possibilità di poterne avere uno. E' l'iniziativa lanciata dall'Azienda agricola Giacomo Ferraris, che sta riscuotendo un grande successo non solo a livello regionale. Guardate qua

giovedì 12 febbraio 2009

Un uomo

Mi sento di dover chiedere scusa al signor Beppino Englaro. Mi sento di doverglielo anch'io, emerito zero, perché non siamo stati degni di meritare la sua lotta, il suo impegno. Il fatto che questo cristo abbia creduto fino in fondo nello Stato noi italiani non ce lo meritiamo, così come non ci siamo rivelati degni di avere un uomo che da solo si è fatto carico di una questione, una delle poche, che non andava strumentalizzata, ne' tantomeno lasciata in balia della pochezza intellettuale ed emozionale di molti perché invece riguarda tutti ma come singoli, non come affiliati o parti di squadre. L'Italia tutta - con la sua tartuferia, la sua ignoranza, la sua vocazione al tornaconto personale - non merita la tua lotta, Beppino. Mi chiedo come non si possa provare questo senso di vergogna profonda che provo da ormai troppo tempo a questa parte.
E chissà se, come dice la Scrittura, le ossa umiliate - tutte le ossa umiliate - un giorno esulteranno.

venerdì 6 febbraio 2009

Ho perso le parole

Tra un dl sulla sicurezza, che vieta l'accesso alle cure mediche ad una parte della popolazione, solo perché costituita da un esercito di disgraziati che arrivano da chissà dove in cerca di una vita migliore - che mi pare un diritto assolutamente prioritario su tutto il resto, tra l'altro -, e un decreto legge approvato fulmineamente per non perdere l'appoggio dello Stato Vaticano e di tutte le sue appendici e bassezze e che calpesta senza pietà - nè carità cristiana - la dignità e la libertà di pensiero e di azione di quanti sono squassati dalla disperazione e dalla sofferenza, non riesco a scrivere. Dal dolore, signori, non mi viene neanche da urlare. Resto così, con la bocca spalancata per un grido al quale qualcuno pare abbia tolto l'audio. Sono sfinita e misuro la mia impotenza. Mi chiedo quali siano le parole da usare e se ce ne siano, adesso.

martedì 27 gennaio 2009

Chi non ha memoria, non ha futuro

Regina Kenigswein, il marito Samuel e i loro due figli, passarono delle notti nella gabbia dei leoni, altri "ospiti" in quella dei pavoni, altri ancora nel sottosuolo, e anche all'interno della villa bauhaus, sgusciando tra armadi a doppio sfondo, pareti scorrevoli, tunnel cunicoli. Furono circa trecento gli ebrei salvati dal direttore dello zoo di Varsavia Jan Zabinski e da sua moglie Antonina negli anni dell'occupazione nazista: li nascosero nel cuore della città, in quello che era stato un magnifico parco per animali selvaggi da loro trasformati in un sistema di rifugi in piena attività fino al 1944. Il figlio Rys (che vuol dire lince) spesso era addetto a portare il cibo nelle "tane" di questa strana arca di Noè.
Ora un libro di Diane Ackerman (Gli ebrei dello zoo di Varsavia, Sperling & Kupfer, pagg.360, euro 18,50) rievoca l'eroico coraggio di questa famiglia speciale. E allora questa è l'occasione adatta per ricordare che i Giusti tra le Nazioni polacchi (il titolo attribuito dallo Yad Vashem di Gerusalemme a chi ha protetto le vite degli ebrei durante lo sterminio nazista) sono 6.066.
E anche che chi non ha memoria, non ha futuro.

mercoledì 21 gennaio 2009

Questione di principio - Parte seconda

"E' venuto il momento di riaffermare il nostro spirito tenace, di scegliere la nostra storia migliore, di portare avanti quel dono prezioso, l'idea nobile, passata di generazione in generazione: la promessa divina che tutti siamo uguali, tuti siamo liberi e tutti meritiamo una possibilità di perseguire la felicità in tutta la sua pienezza".

Barack Hussein Obama, 44mo Presidente degli Stati Uniti

(Foto Ap)

lunedì 19 gennaio 2009

La classe operaia? Resta nel limbo


















Ce la racconta una mostra a Dalmine.

(Da Repubblica.it)

giovedì 15 gennaio 2009

Questione di principio

Il diritto alla felicità mi viene in mente ogni volta in cui mi capita in mano la Costituzione.
Non è una scempiaggine perché manca, non c'è proprio, neanche minimamente abbozzato. Ok, qualcuno potrà ritrovarlo nel suo diritto al lavoro, nella giusta retribuzione, nella libera espressione del pensiero o negli articoli relativi alla famiglia o chesso' io. Massimo rispetto. Ma in toto non è contemplato, non è stato considerato.
Qualcuno dovrebbe spiegarci perché. E non citatemi la Dichiarazione dei diritti universali, che è un'altra storia. E' nei principi fondamentali che non c'è il diritto alla felicità di ciascuno, il diritto alla felicità. Coraggio, non è poi così difficile.

domenica 11 gennaio 2009

giovedì 8 gennaio 2009

giovedì 1 gennaio 2009

Anno nuovo (vita nuova?)


Soltanto il mese di dicembre ha i documenti in regola. Gli altri, da gennaio a novembre, sono tutti «mister clandestini». Non possono o non dovrebbero, per prudenza, mostrare il volto, ma accettano di mostrare i corpi, sbarcati mesi fa dai gommoni provenienti dalle coste sub-sahariane. Non hanno lavoro, non hanno permesso di soggiorno, non hanno casa, e il fatto di togliersi anche i vestiti è parso loro, in fondo, il minore dei mali. Con qualche fatica, per sconfiggere le resistenze degli improvvisati modelli musulmani, il fotografo spagnolo, Adolfo Lopez, ha convinto dodici giovani immigrati di Albacete a posare senza veli per il primo "calendario solidale" realizzato da africani a rischio di espulsione.

TRA AUTOFINANZIAMENTO E INTEGRAZIONE -«Se la diffusione andrà bene – calcola l'autore – ciascuno di loro ne ricaverà 500 o 600 euro, quanto basta per tirare avanti ancora qualche mese». Forse non tutti i mesi contemplati dal calendario che si conclude sulle fattezze di Mady Fofana, 32 anni, da cinque in Spagna, ma infine regolarizzato nel 2005: denudarsi per una causa solidale gli ha fatto meno paura del barcone che a suo tempo lo traghettò dal Marocco alle coste meridionali della penisola iberica. L'idea, spiega il fotografo, è venuta dalla grande varietà di calendari "di categoria" che ogni anno inondano il mercato: i vigili del fuoco, i poliziotti, le hostess, le casalinghe. «Se lo fanno i pompieri – si sono convinti i clandestini -, perché noi no?». Mady è convinto che il progetto non abbia soltanto una funzione di autofinanziamento: «Può servire anche all’integrazione» riflette. Ma soltanto undici dei venti modelli contattati hanno accettato di esporsi e Mady ha dovuto prestarsi per illustrare l'ultimo mese dell’anno. Non a caso: Mister Dicembre è l'unico che ha la ragionevole certezza di essere ancora in Spagna quando il 2009 finirà.

Da Corriere.it