lunedì 26 dicembre 2011

Parole e memoria

Stringo le mani di Roberto. Stringo per sentire meno dolore. Due voli e uno scalo a Francoforte perché "il peggio" non mi colga sola. Dobbiamo essere pronti, ci viene detto. Sediamo e aspettiamo di poter entrare, mentre vedo cadere tutti gli anni passati per terra. Penso al peso della memoria, al tempo che non ritorna, a quello sprecato, al patrimonio affettivo e culturale di cui, inevitabilmente, sarò privata. Vorrei aggrapparmi al tempo, riportarlo indietro, riaccendere lo sguardo e la mente. Penso che avrei dovuto prevederlo e non farmi cogliere così alla sprovvista. Mi colpevolizzo, provo amore -  fortissimo - e senso di appartenenza. Mi misuro con la mia impotenza.

Dai finestroni l'Appennino innevato rompe il fiato. Robbo, ispirato, recita piano pezzi de "L'infinito". Ai minuti seguono minuti. Anche Andy ci ha raggiunti:  non sa bene che fare e va su e giù per il corridoio. E mi distrae. Prende a fissare l'infermiere dalle braccia tatuate. "Che dici - mi fa -: se fingessi di cascare svenuto, mi soccorrerebbe?".Troppo surreale, abbozzo un sorriso. Finisce che ci scappa da ridere: stretti, abbracciati su una panca, al neon di una corsia. Di nuovo, finalmente, in tre.

giovedì 15 dicembre 2011

Il destino nel nome

Diciamo che avevo bisogno di sentire tirare le radici. E' la stessa identica ragione che mi riporta a Roma e che mi ha dato tanto da pensare in questi giorni di cronaca fatta di raid razzisti, rigurgiti nazifascisti e antisemiti e violenze fisiche e verbali che riaprono antiche piaghe, vorrebbero rialzare steccati, riportarci indietro, far regredire in senso civico e culturale.

Diciamo che ero molto stanca e con la testa molto appesantita e poco disposta a sentire pronunciare parole vuote. Avrei voluto vedere un amico ma poi l'uscita è saltata e allora sono entrata in un posto, convinta di sedermi e mangiare una cosa veloce dopo il lavoro. Sapevo che sarebbe però bastata un'occhiata per capirsi: è finita che ho conosciuto nuovi amici, che mi hanno letteralmente tirato nei loro discorsi. Mai visto nascere un senso di collettività tanto forte da una multa presa per un'auto in sosta vietata. "Figurati, faranno mica la multa a tutta via Washington!". Ebbene sì: multe per tutta via Washington. Lo so, forse, cosa sono, ma ho bisogno di più tempo. "Basta quello che senti - mi fa a un certo punto il mio nuovo amico -. Nu, adesso ci vuole un bel nome: per noi, ad esempio, da stasera ti chiami Rebecca".

lunedì 12 dicembre 2011

A forza di essere vento

 "Hanno ragione loro, gli zingari, un popolo che potrebbe veramente scrivere un capitolo importante della storia dell'uomo. Vivono su questo pianeta da migliaia di anni senza nazione, esercito, proprietà. Senza scatenare guerre". Penso alle parole di Fabrizio De André e penso che non possiamo restare indifferenti davanti a quanto accaduto sabato scorso nel campo rom della Continassa, a Torino. Il fatto che non ci siano state vittime o, per essere più precisa, dei morti, in un men che non si dica consegnerà questo spaventoso fatto di cronaca all'oblio, sarà sostituito da altri fatti, più o meno efferati e dolorosi.

E così l'assenza di memoria collettiva inghiottirà anche quest'ennesimo raid razzista, spegnerà i riflettori su quest'ultima notte dei cristalli scatenata da una bugia. Bugia dettata dal timore di una sedicenne portata a credere dalla famiglia, dai retaggi culturali, dalla pochezza delle vedute e delle prospettive che l'ambiente intorno a lei può offrirle, che la falsa condizione di stuprata sia più sopportabile di quella di chi fa l'amore per scelta. E anche questo meriterebbe un esame di coscienza.

La spedizione punitiva contro queste persone non permette di relegare nel dimenticato quel passato di pogrom di cui è fatta la storia della "nostra comune Patria europea", come l'ha definita nei giorni scorsi il Capo dello Stato Napolitano. Penso alla violenza psicologica, allo stato di soggezione psicofisica a cui magari è stata costretta a vivere e a crescere la ragazzina italiana della bellissima Torino. Mi sforzo di comprendere, ma davanti allo strazio e alla furia violenta e senza senso di quanti hanno appiccato il fuoco e lanciato molotov e nascosto coltelli sotto le giacche, acciecati dall'odio fine a sé stesso, sto male e mi vergogno. Un senso di vergogna per l'essere umana e di inadeguatezza come mi colse anni fa, visitando Auschwitz. Che poi divenne senso di riscatto, voglia di finalizzare, di dare un perché al privilegio che ci è stato concesso, quello di vivere.

Amo il popolo rom, amo la loro cultura, la loro musica. Ascolto le loro canzoni di melodie e parole tzigane fatte di violini, fisarmoniche, contrabbasso, tutti suonati velocissimi, quei loro testi che raccontano di dolore e di inni sfrenati alla gioia. E torno alla mia musica klezmer, quella di un altro popolo, accomunato dalla persecuzione e dall'essere oggetto di odio razziale. Insieme a sei milioni di ebrei furono sterminati anche circa 500mila zingari (si tratta di una stima, altre ipotesi variano dai 250mila al milione): i rom chiamano questo momento della loro storia porrajomos, "divoramento". Sono passati sessant'anni. Chi non ha memoria, non ha futuro.

lunedì 5 dicembre 2011

Il cielo è di tutti

“Il cielo è di tutti” canta Bobo Rondelli in una bella canzone che mi ha tirato fuori stasera la mia carissima amica Angela. Da ieri sono sotto attacco di “serendipity”: presente? Cercate una cosa e ne viene fuori un'altra. Cercavo stampe di Emanuele Luzzati, sotto i portici di Torino: arrivati in piazza Castello ci siamo trovati davanti i personaggi del suo presepe. Sfogliavo un libro sugli orti e mi è venuto in mente il mio carissimo amico: ho appena scoperto che ne ha appena scritto uno anche lui. Ho iniziato a sfogliarlo e si è aperto al capitolo “Il giardino in carcere”. Guardando alcune foto dal mio nuovo editore, ho ritrovato un altro amico, perso di vista da un po'. Ho pensato molto a Diego, alla fine mi ha chiamata.

Come da copione, alla vigilia di tutti i miei compleanni, sono intristita. Evidentemente non ho un buon rapporto col tempo che passa, inesorabile e inevitabile, non ce l'ho mai avuto. Ho però trovato il pensiero affettuoso della mia amica Roberta, prima di tutti, prima che qualcun altro glielo ricordasse: era lì che mi aspettava, mentre io vagavo ancora per Milano.

E mentre mi perdo a pensare a Roma e al da farsi, scampanella Andy, su di giri perché un commesso a suo dire bellissimo lo ha invitato a colazione. “Il mondo intero si fa da parte quando vede un uomo che sa dove va”: lo ha agganciato così, mentre la mia tata scalpitava in coda alla cassa brandendo una bottiglia di vino. É ancora in estasi: “Finalmente un uomo originale, no?”, mi fa. Prendo il cavatappi e soffoco la maestrina che è in me: la frase è di Saint-Exupéry. No che non glielo posso dire.

martedì 29 novembre 2011

Così è, se vi pare

Come un sogno che finisce. La morte di Lucio Magri mi ha colpito molto e mi lascia una grande amarezza nel cuore. Nutro rispetto, profondissimo, e mi sforzo, tanto, di capire. E stimo, anche, la fermezza, il coraggio, la dignità della scelta di questo e di altri Icaro. Quel mantenersi inflessibili, fedeli alle proprie idee, alla propria natura, senza cedere al compromesso, in primis verso sé stessi, fino alla fine. E alla fine, l'ultima resa: il volersene andare dopo che la vita ti porta via anche l'amore.

Stasera sono tornata a teatro per vedere “Cabaret Yiddish” del mio nuovo amico Moni Ovadia. Amo profondamente la vita anche – e soprattutto – per questo: per gli incontri inattesi, per le empatie che accadono, per i legami affettivi e intellettuali che si creano e si fanno forti. Chiedevo tempo fa a una mia cara amica perché ha scelto di condivere pezzi di vita con me, mi sono ritrovata a chiederlo anche al mio compagno di viaggio, me lo chiedo quando voglio bene o mi sento legata – anche inspiegabilmente, a volte – a persone che magari conosco poco ma verso cui provo sentimenti profondissimi. “Sono cose che non si chiedono – mi ha risposto lei -, si sentono e basta”. E quando si sentono, aggiungo io, è bene così.

lunedì 28 novembre 2011

Cos'è la vita

Insomma scorrazzo da una parte all'altra della città immersa nelle mia miriade di cose da fare, tra cui questo progetto che coinvolge le detenute del carcere di San Vittore che ormai non è più lavoro: è dedizione, passione, quasi voto. Le radici ben piantate da una parte, il resto mosso dal vento, come mi diceva oggi Moni Ovadia. Alzi la mano chi non è figlio di una diaspora: quello che era prima di te, finisce a far parte di te. E non si sfugge.

Quello che resta fuori invece lo perdo, lo confondo o lo dimentico: i codici di accesso alle agenzie (sì, quelli che uso ogni santo giorno per lavorare), i pin dei telefoni, la combinazione del bancomat, la lista della spesa, i guanti, una ricetta, il biglietto del treno, lo scontrino di un maglione dalla taglia sbagliata. “La solita sbadata, sei...Allora buona serata, eh, e salutami quell'Alberto”. Roberto, mamma, Roberto.

domenica 20 novembre 2011

Povera Patria

Di Perugia mi manca il jazz. Aspettavo per mesi quelle atmosfere, poi finalmente arrivavano, in ogni angolo di strada, fin sotto il mio portone. E ci restavano per giorni, si lasciavano respirare, travolgevano il resto. Non conoscevo Avishai Cohen ma sentirlo – e vederlo – suonare, oggi a Milano, è stato un incanto totale. Fuoriclasse anche i suoi due musicisti: Omri Mor, al piano, e Amir Bresler, alla batteria. A sommare le loro età, non s'arriva a sessant'anni.

Come ogni persona dotata di media intelligenza e buon senso, in questi giorni ho accolto con favore, sollievo e speranza il cambio di governo e la costituzione di un esecutivo tecnico, in Italia: niente politici, solo un team di esperti a cui da qui ai prossimi mesi toccherà rimboccarsi le maniche e – finalmente – lavorare seriamente, con competenza e rigore. “Hai spaccato un Paese – ha scritto Massimo Gramellini su La Stampa rivolgendosi idealmente all'ex premier Silvio Berlusconi -, abbassato l'asticella del buongusto al livello dell'elastico degli slip, desertificato i cervelli di due generazioni di telespettatori, abolito il senso di autorità e quello dello Stato (…), sdoganato un esercito di fascisti, razzisti, squinzie e buzzurri. Soprattutto hai sparato una quantità inverosimile di panzane”.

Stamattina, davanti ai tanto giovani quanto bravissimi musicisti di Cohen, ho provato amarezza. Ho pensato che quanto accaduto negli ultimi vent'anni in Italia è qualcosa di criminoso: l'ascesa e l'affermazione prepotente del populismo ha soverchiato il talento, violentato il rispetto, l'importanza, il bisogno di cultura, ha annientato la meritocrazia (ammesso abbia mai avuto vita facile, anche prima). "Povera Patria", cantava Franco Battiato. Povera, sì.

giovedì 10 novembre 2011

Colloquium vitae

Mai come in questo periodo di assoluta difficoltà e sfiducia per il disfacimento progressivo politico, finanziario, paesaggistico del nostro Paese, sento il bisogno di circondarmi di persone che mi facciano perdere, che mi travolgano, che mi regalino spunti, lampi di intelligenza, dibattiti, confronti, occasioni di crescita e arricchimento emotivo e mentale, che mi tengano con loro, che mi preservino. Tutto insieme, o niente.

Ho inaugurato allora da qualche giorno questa sorta di simposio tra simili. Che ti ritrovi in casa, a ogni ora, che ti svegliano allarmate in piena notte convinte che è già tempo di partorire, che mi portano via agende e telefoni quando perdo le staffe, per ridurre al minimo il rischio di sfuriate delle quali potrei pentirmi appena passata la buriana.

Passerà questo tempo indeciso, si alzerà questa nebbia fitta, questa scarsa capacità di scrutare l'orizzonte, di non poter sapere cosa si cela dietro il sipario. “Tra un bicchiere di neve e un caffè come si deve”, ha cantato Fossati, facendomi struggere. E allora via a tutto quello che mi fa da zavorra, che mi si appende addosso come peso morto, cappa opprimente, legacci troppo stretti. L'ultima volta che mi hanno fatto scoppiare a ridere, oggi pomeriggio. L'ultima esperienza indimenticabile, quella di sabato scorso. L'ultima emozione forte, ieri sera. L'ultimo bacio dato, poco fa. Similia cum similibus. Noi che non abbiamo tempo da perdere, ma tempo da dare.

lunedì 31 ottobre 2011

Uscita di sicurezza

La nonna della mia amica-come-fosse-sorella non c'è più. La notizia mi arriva stamattina, dall'Egitto. Il pensiero della distanza mi strugge: pensieri, specchi velati e Kaddish, così da sentirmi più vicina a Puti. Mi tocca molto anche perché la mia di nonna, Stu', è cresciuta negli stessi luoghi. Stessa generazione, stessa tempra. Era nata sulla costa, però, perché appena 12 giorni prima c'era stato il terremoto del 1915 e il bisnonno Federico caricò la bisnonna Cecilia sul carretto e la portò nel posto più sicuro possibile, a casa dei suoi, nel Teramano. La Marsica non c'era più.

La notizia mi coglie oggi poco prima che un'altra amica mi mette davanti agli occhi la puntata di ieri di Report: fuori casa, mi ero persa l'ultimo servizio sulla ricostruzione de L'Aquila e sui 221 milioni stanziati dal Cipe per le scuole danneggiate dal terremoto. All'inizio penso di non capire, resto senza parole, lo guardo come senza audio. Sfilano davanti ai miei occhi le facce degli amministratori locali che, ahimé, conosco e riconosco. Poi no, poi mi assale una rabbia cieca, mista a un senso di impotenza.

“Nel terremoto morivano infatti ricchi e poveri, istruiti e analfabeti, autorità e sudditi. Nel terremoto la natura realizzava quello che la legge a parole prometteva e nei fatti non manteneva: l'uguaglianza. Uguaglianza effimera. Passata la paura, la disgrazia collettiva si trasformava in occasione di più larghe ingiustizie.
Non è dunque da stupire se quello che avvenne dopo il terremoto, e cioè la ricostruzione edilizia per opera dello Stato, a causa del modo come fu effettuata, dei numerosi brogli frodi furti camorre truffe malversazioni d'ogni specie cui diede luogo, apparve alla povera gente una calamità assai più penosa del cataclisma naturale. A quel tempo risale l'origine della convinzione popolare che, se l'umanità una buona volta dovrà rimetterci la pelle, non sarà in un terremoto o in una guerra, ma in un dopo-terremoto o in un dopo-guerra”. Lo ha scritto Ignazio Silone, in “Uscita di sicurezza”.

sabato 29 ottobre 2011

Buontempo

'Parole profonde, rispettose e lucide', 'Shalom', 'benvenuta', 'Mazel Tov' e alla fine, in consegna, 'Abbracciaci Roberto'. Custodito tra le pagine di un libro partito da lontano e passato di mano in mano, il biglietto l'ho trovato sul tavolo di casa. Leggo e rileggo e mi passa la stanchezza, passa il sonno, passa questo periodo di solitudine forzata in nome della “sicurezza”, sempre prima di tutto, anche della ragione, delle ragioni, del senno.

Passo le dita sul cartoncino lucidissimo, penso di incorniciarlo per non sciuparlo a furia di guardarmelo. Me l'avevano anticipato quanto sarebbe stata dura, ma non all'inizio, man mano che il tempo sarebbe passato: più ci avrebbe stretti, più ne saremmo stati coinvolti. Tra qualche giorno sarà trascorso un anno esatto da quando ho aperto una porta che non avrei dovuto, dietro cui tutto era come in attesa di passarmi dentro.

365 giorni o quasi. Prima e dopo. Panorami visivi e mentali che a vederli ridimensionati da un numero ti sembrano niente. Prendi a pensarli: incontri, passi, volti, chilometri, compagnie, strade, persone, parole, ore, risate, musiche, delusioni (poche, forse perché le rimuovo quasi subito), le notti bianche, quelle lunghe e i giorni senza notti, sguardi, case, mani, sedie, bagagli da fare e da tenere pronti, stanze, bicchieri, luci viste dai finestrini, silenzi, biglietti, appunti, scatti, canti, discanti.

Poche sere fa si discuteva - e si festeggiava - il rilascio del caporale israeliano Gilad Shalit e la liberazione di centinaia di detenuti palestinesi. Ho sostenuto con forza che no, non ci vedo niente di politico: la Politica, quella vera, penso debba essere tesa esclusivamente al conseguimento del bene comune. Sarei allora più propensa a parlare di sforzo diplomatico, ma in questo caso vedo solo il rischio che si tramuti in strategia crudele, incentivando e incoraggiando le parti a perseverare nella pratica di vite da prendere in ostaggio per ottenere altre vite in cambio. E quando è la mera strategia a rubare il posto alla politica, il pericolo concreto è la regressione allo stato di natura.

sabato 15 ottobre 2011

Fiducia nel nulla migliore

Insomma sono quasi le due del mattino e Rob è da poco riapprodato a Milano di ritorno da Roma. Dopo un pomeriggio di tormenti, tiriamo il fiato. Tra poche ore sui giornali troveremo anche le sue, di foto. Intanto a casa mia sorella ci spignatta una pasta all'aglio e olio per il bello di fama e di sventura. E intanto penso che questa è la notte del 16 ottobre. E mi torna in mente quella di Roma del 1943.

Pomeriggio tremendo, dicevo. Un peccato, un autentico peccato. La rabbia, la preoccupazione, lo sconforto. Buttiamo un occhio alle prime pagine dei giornali. E' veramente svilente e sfinente com'è finita, oggi a Roma. Appena partito il corteo, mi sono tornati in mente i gruppi e le organizzazioni alteromondiste viste a Genova dieci anni fa: ecco dove sono ora, mi sono detta. Invece mi sbagliavo.

E ora? Cosa abbiamo tra le mani, ora? Ce lo chiediamo l'un l'altro, prima di consacrare il giorno che nasce alla lettura di pagine e pagine di fior di opinionisti. Noi, prima generazione di figli che staranno peggio dei propri genitori, "senza futuro" ma senza futuro per davvero, un tirare a campare continuo, senza prospettiva alcuna. Mettilo al mondo, un figlio in queste condizioni: con il rischio di ritrovarsi per strada da un momento all'altro, con le nostre esperienze e professionalità acquisite che è bene togliere dai curricula, perché intralciano nella ricerca di lavoro. Noi donne che basta un ritardo di qualche giorno per farci sentire sull'orlo del precipizio. Non adesso, non ora, aspettiamo. Ma il tempo scorre e inghiotte vita e certezze. E giorno dopo giorno, è morire a poco a poco.

lunedì 10 ottobre 2011

I destini che abito

Di rara bruttezza, come ho detto appena uscita dal cinema. Inconcludente, superficiale, a tratti scontato, freddo, prevedibile, furbo, piatto, senza smalto. Parlo dell'ultimo film di Pedro Almodòvar, La pelle che abito, e lo dico subito, tanto per mettere in chiaro dove sto andando a parare.

Premessa: amo Almodòvar e sono arrivata al cinema per sprofondare nelle sue pieghe, nei suoi parallelismi, nelle sue voragini affettive, nei suoi personaggi, nelle loro essenze profondissime o anche solo riempirmi gli occhi della fotografia, caldissima, quel rosso, arancio e blu, che trovo in tutti i suoi film (e che, appunto, ribadisco, amo). Ma non l'ultimo, l'ultimo no, pietà. Ho sofferto davvero, seduta in quelle poltrone tremende. Roba da uscire, tanto per non avere conferme dai titoli di coda.

Mio fratello ha tirato fuori la teoria della curva gaussiana. Vale per tutti, mi fa: scrittori, musicisti, registi. Si arriva all'apice e poi, inesorabilmente, tocca scendere. La mia amica ci ha visto dentro un'accozzaglia di temi importanti, appena abbozzati ma mai approfonditi, troppi tutti insieme e sprecati: dalla transgenesi allo stupro, dalla patologia psichica alla violenza psicologica, la sete di vendetta che si fa abbrutimento, la sofferenza del corpo e dello spirito davanti alla prorompenza di un'identità sessuale che non è quella che appare, il rapporto vittima/carnefice, e chissà quant'altro mi sfugge.
Lo racconto al telefono anche alla mia sorella nell'arte e nella vita, che è Andy. Tempo qualche ora e mi piomba in casa con uno dei suoi budini migliori: un odor di vaniglia che, ci scommetto, avrà dato la sveglia all'intero palazzo. "Querida - mi sbertuccia dal citofono - siamo in tre: il gay, l'ebreo e la nera. Facci salire che il prossimo film di Pedro lo si gira a casa tua".

sabato 1 ottobre 2011

Comma ammazza-blog: un post a Rete unificata #noleggebavaglio

Anche questo blog di liberi pensieri semplici aderisce all'iniziativa degli amici di Valigia blu: condividere, postare (anche su Facebook e su Twitter), diffondere lo stesso post come segnale di protesta contro il comma 29 del disegno di legge in materia di riforma delle intercettazioni, cosiddetto "ammazza-blog". 


Cosa prevede il comma 29 del ddl di riforma delle intercettazioni, sinteticamente definito comma ammazzablog?

Il comma 29 estende l’istituto della rettifica, previsto dalla legge sulla stampa, a tutti i “siti informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica”, e quindi potenzialmente a tutta la rete, fermo restando la necessità di chiarire meglio cosa si deve intendere per “sito” in sede di attuazione.

Cosa è la rettifica?
La rettifica è un istituto previsto per i giornali e le televisione, introdotto al fine di difendere i cittadini dallo strapotere di questi media e bilanciare le posizioni in gioco, in quanto nell’ipotesi di pubblicazione di immagini o di notizie in qualche modo ritenute dai cittadini lesive della loro dignità o contrarie a verità, questi potrebbero avere non poche difficoltà nell’ottenere la “correzione” di quelle notizie. La rettifica, quindi, obbliga i responsabili dei giornali a pubblicare gratuitamente le correzioni dei soggetti che si ritengono lesi.

Quali sono i termini per la pubblicazione della rettifica, e quali le conseguenze in caso di non pubblicazione?
La norma prevede che la rettifica vada pubblicata entro due giorni dalla richiesta (non dalla ricezione), e la richiesta può essere inviata con qualsiasi mezzo, anche una semplice mail. La pubblicazione deve avvenire con “le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono”, ma ad essa non possono essere aggiunti commenti. Nel caso di mancata pubblicazione nei termini scatta una sanzione fino a 12.500 euro. Il gestore del sito non può giustificare la mancata pubblicazione sostenendo di essere stato in vacanza o lontano dal blog per più di due giorni, non sono infatti previste esimenti per la mancata pubblicazione, al massimo si potrà impugnare la multa dinanzi ad un giudice dovendo però dimostrare la sussistenza di una situazione sopravvenuta non imputabile al gestore del sito.

Se io scrivo sul mio blog “Tizio è un ladro”, sono soggetto a rettifica anche se ho documentato il fatto, ad esempio con una sentenza di condanna per furto?
La rettifica prevista per i siti informatici è quella della legge sulla stampa, per la quale sono soggetti a rettifica tutte le informazioni, atti, pensieri ed affermazioni ritenute dai soggetti citati nella notizia “lesivi della loro dignità o contrari a verità”. Ciò vuol dire che il giudizio sulla assoggettabilità delle informazioni alla rettifica è esclusivamente demandato alla persona citata nella notizia, è quindi un criterio puramente soggettivo, ed è del tutto indifferente alla veridicità o meno della notizia pubblicata.

Posso chiedere la rettifica per notizie pubblicate da un sito che ritengo palesemente false?
E’ possibile chiedere la rettifica solo per le notizie riguardanti la propria persona, non per fatti riguardanti altri.

Chi è il soggetto obbligato a pubblicare la rettifica?
La rettifica nasce in relazione alla stampa o ai telegiornali, per i quali esiste sempre un direttore responsabile. Per i siti informatici non esiste una figura canonizzata di responsabile, per cui allo stato non è dato sapere chi sarà il soggetto obbligato alla rettifica. Si può ipotizzare che l’obbligo sia a carico del gestore del blog, o più probabilmente che debba stabilirsi caso per caso.

Sono soggetti a rettifica anche i commenti?
Un commento non è tecnicamente un sito informatico, inoltre il commento è opera di un terzo rispetto all’estensore della notizia, per cui sorgerebbe anche il problema della possibilità di comunicare col commentatore. A meno di non voler assoggettare il gestore del sito ad una responsabilità oggettiva relativamente a scritti altrui, probabilmente il commento (e contenuti similari) non dovrebbe essere soggetto a rettifica.

@valigiablu
Cosa non va in questa norma: @bruno saetta

lunedì 26 settembre 2011

Remedios

"Sento che vi divertite e io sono sola: non è che posso stare un po' con voi?": la mia vicina di casa, origini campane e sulla settantina, intorno alle undici dell'altra sera. Al suono del campanello mi sono sentita morire: ho pensato che dopo le voci alte per una discussione piuttosto accesa, stemperata poi da Vicio che ha iniziato provvidenzialmente a suonare, la rimostranza ci stava tutta. Oddio, forse anche i vigili. Invece mi sbagliavo.

La discussione, dicevo,  è partita appena ho rimesso piede in casa di ritorno da Torino. Tema: la Palestina. Cinque/sei le parti dibattenti. Il riconoscimento dello Stato, l'Onu, la figura di Mahmoud Abbas alias Abu Mazen, Obama e la sua campagna elettorale, l'Egitto, la Turchia, la Siria, l'Iran, la primavera araba che - a mio avviso - primavera ancora non è, perché non è chiaro il ruolo e il futuro di formazioni estremiste, dei Fratelli Musulmani, Netanyahu, Arafat, la Guerra dei sei giorni, quella del Kippur, Gaza e la Cisgiordania, Sharon - sì lui, Sharon - come dissolto dopo l'ictus. Insomma, tutto quello che può venire fuori quando un gruppetto di infoiatos si incontra. Con l'aggravante che io il Medio Oriente lo amo e lo amo alla follia, e non sono l'unica.

Poi Vicio ha preso a cantare Remedios, di Gabriella Ferri. E Pina, con la quale dall'età di 16 anni divido anche il sonno, ci ha rivelato che tra qualche mese arriverà Rebecca, o Samuele. Chissà, l'importante è che sarò io a stringerle la mano in sala parto, assieme a sua mamma. Io, che per fare le analisi del sangue torno a L'Aquila, dall'infermiere di fiducia, che mi ha vista crescere e che mi vezzeggia ancora come una bimba. Io che solo a sentire odor di ospedale svengo. Rebecca, Samuele o chiunque ci sia là dentro: sento che ce la farò.

domenica 11 settembre 2011

Comizi d'amore

Del nome della nuova trasmissione di Michele Santoro me ne dà notizia il tg delle 20. Ho passato il pomeriggio in Guastalla a leggere il bel libro di Roberta Anau Asini, oche e rabbini (edizioni e/o), con buona pace della mia amica che ieri sera mi ha telefonato mentre ero in libreria:  "Non prenderai mica un altro di quei libri di ebrei che parlano di ebrei, vero?". Troppo tardi, al cuor non si comanda. Una volta ero arrivata addirittura a impormelo, per ampliare un attimo. Sono entrata in libreria con mio fratello al telefono: giro e rigiro, mi sono trovata in mano varie cose, poi ho fatto la mia cernita e sono uscita fiera di me con un romanzo sottobraccio. Via che era di Philip Roth. Almeno però ero uscita dai confini di Israele.
Insomma, ieri sera torno a casa con questo bel libretto tra le mani e due dvd di Pasolini, Teorema e Comizi d'amore, convinta di essere l'unica in un brodo di giuggiole per questo film-inchiesta sugli italiani e il sesso negli anni '60.

Scorro il palinsesto: a reti semi-unificate si ricorda il decennale della strage dell'11 settembre. Su cui è stato scritto, visto e approfondito tutto. Da quel giorno a uscirne rivoluzionato è stato anche il modo di fare giornalismo: ha insegnato a fare cronaca durante e non più solo il giorno dopo. Non c'erano ancora i social network ma l'impatto sulle nostre menti e le nostre vite credo sia stato identico.

L'11 settembre del 1973 con Salvador Allende moriva anche la democrazia cilena. Ed è ancora storia attuale, ancora una minaccia, un rischio, su cui non dobbiamo mai abbassare la guardia, su cui non dobbiamo mai smettere di vigilare. Mai, neanche per un giorno. Rhapsody in blue di George Gershwin nell'intro di Manhattan, capolavoro di Woody Allen: una delle più belle dichiarazioni d'amore di sempre.

lunedì 5 settembre 2011

Un Paese per vecchi

"Tu sei abusivo, precario e a rischio". Sono di nuovo a Milano da qualche giorno, felice di aver ripreso in mano a pieno ritmo la mia vita. Stasera guardavo il bel film di Marco Risi, Fortàpasc, sulla vita, il lavoro e la fine del bravo giornalista Giancarlo Siani.
Rob mi piomba in casa di ritorno da Piazza Affari, dal presidio dei cosiddetti "indignados" in versione italica. Sono in Spagna, in Grecia, in Israele. In Italia no, non c'è spinta, non c'è aggregazione, ne' organizzazione alcuna. Nessuna idea ne' proposta sui social network, così importanti, così essenziali per ogni azione collettiva, come ci ha ben dimostrato la cosiddetta Primavera araba. Da noi niente di tutto ciò: un po' di ragazzi stanotte dormiranno nelle tende montate in alcune piazze italiane - piazza Affari, per l'appunto, a Milano, piazza Carignano a Torino e non so dove a Bologna -, in vista dello sciopero anti-manovra del governo indetto dalla Cgil per domani. Dalle finestre vediamo dei gran lampi e pensiamo ai ragazzi sotto le tende.

Tra poche ore scatta l'agitazione nazionale in segno di protesta contro un provvedimento che dovrebbe fungere da scudo per ripararci dal male assoluto (che è il default), da armatura suprema contro speculazione, recessione e quant'altro di brutto possa menomare il nostro futuro. Peccato che così come è stata raffazzonata non contenga mezza misura mezza che riguardi la crescita. Ma del resto questo è un Paese per vecchi. Vado ad affacciarmi anch'io, magari porto una cosa calda e due plaid.

martedì 9 agosto 2011

Baci da Pompei

Colpa del passaporto. O dei trent'anni che si avvicinano. Fatto sta che prima non avevo mai preso seriamente in considerazione l'ipotesi di lasciare l'Italia. Magari non nell'immediato, ma penso che me l'andrei a cercare. La ragione è sotto gli occhi di tutti: uno Stato sull'orlo del fallimento, l'incertezza sul futuro che giorno dopo giorno volge verso l'assenza - soprattutto per noi che amiamo definirci giovani ma che forse è anche ora di considerarci adulti -, il totale scollamento tra benefici e prebende di cui gode la classe politica con i bisogni e le necessità vere del Paese, lo Stato sociale che viene eroso e svuotato giorno dopo giorno, le tasse evase da quelli che invece dovrebbero pagarle e pagarle più di tutti, le buste paga che non crescono, i pensionandi che dopo avere lavorato e atteso una vita intera il diritto a diventare pensionati si ritroveranno sul lastrico, i figli che sono diventati miraggi di lusso. Insomma, continuo? No, perché ce ne sarebbe e ce ne sarebbe. E le avvisaglie c'erano tutte, prima di ritrovarci così: eravamo stati messi in guardia per tempo. Ma non abbiamo voluto capire. E ora siamo sull'orlo del baratro e io non voglio fare la fine della moglie di Lot. Quindi mi viene da scappare.

Ovviamente lo dico a Rob e glielo dico alla fine di una giornata difficile ed il corto circuito è immediato e inevitabile. Lo dico a lui, che si è fatto alfiere della necessità di restare, perché il cambiamento è vicino, e la vive come una missione, come atto dovuto verso la Storia, come la vittoria di una nuova Resistenza. Sbotto e lo attacco: scrive, vive di scrittura. Ha il privilegio di poterlo fare ovunque, perché restare? Io qui non ci invecchio, poi non mi venga a dire di aver giocato a carte coperte. E io mio figlio qui non ce lo faccio nascere, perché non mi riconosco più in niente. E che non voglio essere l'eroina di nessuno. E via di seguito. Ovviamente ne nasce una lite asprissima, che si trascina per ore.

Non lo so se ne verremmo mai fuori, non lo so se riusciremo ad evitare il peggio. Vorrei saperlo ma mi rendo conto che chiederlo a chicchessia, a qualunque eminenza grigia dell'Economia o alla prima fattucchiera di Brera, non cambia molto. So solo che quella notte ci siamo ritrovati in cucina, a ballare un lento, senza dire più niente: "Che passi il segno della piena, su questo cuore e su questa schiena, e si addormentino gli amanti all'ombra del vulcano. Possa bruciare sempre la tua mano, nella mia mano? E consumarsi il mio destino col tuo destino?" .

domenica 31 luglio 2011

Pugni chiusi*

Dalla finestra un panorama che riconcilia col mondo, le tende gonfiate da un venticello leggero, i telefoni lasciati a casa, spenti. Un sabato di assoluta pace. La notizia della morte di Peppe D'Avanzo arriva come un pugno in pieno viso. Poco prima che la battessero le agenzie, non mi ero accorta della chat aperta: "Uè Ci', che devo fa' pe' parla' co' tte? Aro' stai?" - "Eh, non te lo posso dire". "Capito, meno male. Così a Robbo glielo dici tu...".

*Demetrio Stratos e gli Area. L'ha scelta Roberto. Gli ricorda "Paese Sera".

martedì 19 luglio 2011

Odio gli indifferenti

"Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti". Un po' un atto dovuto partire alla volta di Genova leggendo Antonio Gramsci, mi sembrava un modo degno di riflettere su questi primi dieci anni dal G8.
Da quella storia non siamo ancora usciti per vari motivi. E' venuta fuori la verità ma non è stata fatta giustizia, ho letto nel corso della mia visita alla bella mostra Cassandra, fino al 24 luglio a Palazzo Ducale.

E' un peccato che le idee e l'entusiasmo portati dai gruppi alteromondisti arrivati in città in quel luglio del 2001 sia andato dissolvendosi, fino a sparire. Dove sono adesso? Cosa si può fare per recuperarlo? E' un dolore troppo forte quella pagina nera della nostra fragile democrazia: i fatti della caserma Bolzaneto, la macelleria messicana alla scuola Diaz. Chi allora impartì ordini oggi è ancora ai vertici e nei posti chiave dello Stato. Chi li eseguì non ha pagato, perché l'ordinamento giuridico italiano non contempla il reato di tortura. Allora, domanda: perché il nostro Paese ha ratificato la Convenzione Onu del 1984 ma non ha mai inserito il reato nel codice penale? Perché non se ne parla abbastanza? Perché son qua che me lo chiedo come una scema mentre mi scorrono sotto gli occhi quelle immagini?

Dieci anni fa avevo appena dato la maturità e mi preparavo per vivermi finalmente Napoli. Dieci anni dopo ho la mia Genova. Il ghetto, Prè e San Lorenzo, via del Campo e la Maddalena, la via al mare. Le scritte sui muri e gli odori di spezie e kebab, i negozi di parrucche africane e la farinata appena sfornata. La frittua de pigneu e il giancu ghiacciato. Le preziose sedute davanti l'uscio, con cui ogni volta mi fermo a parlare, e la princesa bellissima, bionda, a tenermi compagnia con un paio di sigarette. Al porto, Don Andrea Gallo. Questo mi manca quando sto via troppo. E allora non c'è niente che tenga e corro, come una disperata, a riprendermelo.

lunedì 11 luglio 2011

Ma che freddo fa

Milano, quasi l'una di notte. Un caldo becco che non dà tregua, neanche per dormire. Faccio uno squillo a Vicio, apro un chinotto e penso alle mie amiche. Andy dorme sereno, il Crucco malefico è lontano lontano, Sansone mi guarda ma resta dov'è e prende a fissarmi. Accendo radio e pc. Pazienza, mi porto avanti col lavoro. Apro l'Ftp: strano, non mi ricordo di averci caricato niente, oggi. "Amami quando non me lo merito, perché quello è il momento in cui ne ho più bisogno. Spero tanto continui ad avere questa pazienza". Bene. Chissà dov'è. Adesso bravo chi dorme.

domenica 3 luglio 2011

C'è chi arriva presto. E chi è arrivato prima.

Cose che mi fanno venire voglia di trasferirmi all'istante (e finalmente) a Roma: "Per le strade di Roma" di De Gregori, quella dei film di Moretti, piazza Vittorio e la sua Orchestra, i Tetes de Bois e quando vado ai concerti di Silvestri, Trastevere e le viuzze del ghetto, Fellini e Flaiano, Pasolini e la Magnani, le osterie de 'na vorta e il panorama notturno, i racconti di una mia prozia, classe 1909.

Poi succede che Roma negli anni è cambiata. Che se fai "caciara" di notte ti ritrovi in fin di vita, come il ragazzo musicista aggredito qualche giorno fa , se sei gay e passeggi per strada col tuo compagno idem, così come se lasci aperto il tuo negozio fino a tarda notte, soprattutto se arrivi dall'Estremo Oriente. E poi c'è tutta l'altra casistica, quella che non ce la fa a conquistarsi lo spazio dei giornali. "E' diventata pericolosa Roma Ci', pensaci bene", mi fa la mia amica che ci vive da un po' di anni, che la ama e che la respira da sempre.

Un paio di settimane fa, invece, qua a Milano ho portato con me mio fratello e qualche amicizia tra le più care in assoluto che ho e mi sono decisa a fare l'esperienza di Dialogo nel buio, all'Istituto dei ciechi, che è un posto pazzesco. E' tra le cose da fare assolutamente nella vita e lo dice una che senza la dolcezza, i sussurri e l'aiuto di Michele, un ragazzo non vedente, non ce l'avrebbe mai fatta. E' finita che non volevo più uscire e a cantare tutti insieme al bar con Alina, la guida, al piano. "Così io ti prendo per mano e ti porto con me, 'ché a darsi un appuntamento, che speranza c'è? ".

giovedì 23 giugno 2011

Unexpected me

"Il passato non tornerà. Mai". Mi risuonano nella testa le parole di una delle persone che amo di più in assoluto, che è Amos Oz. Sono di ritorno dalla proiezione di un documentario a lui dedicato, "The Nature of Dreams". Ho risentito le sue mani nelle mie, quando sono andata a conoscerlo qualche mese fa, mi sembrava di riflettermi di nuovo nel suo sguardo limpido. E poi c'è Nili, sua moglie, che è meravigliosa.

A Milano si chiude oggi la rassegna Unexpected Israel e io ho vissuto emozioni fortissime, grazie anche a Gad Lerner e al suo "Scintille". Fa parte di me, è la mia storia, c'è un pezzo di famiglia dentro e c'è la persona di cui sono innamorata.

L'altro giorno ho partecipato a un incontro sui kibbutz. Non potevo immaginare che come esempio italiano - se di esempio si possa parlare - sarebbe stata citata la Certosa dell'Ema, a Firenze, che è il posto in cui sono cresciuta. Dopo anni me la sono ritrovata davanti, in una foto appesa in Galleria nel cuore di questa città. Mi sono rivista scorrazzare nei chiostri, cantare nei corridori, apparecchiare per tutti in refettorio, nascondermi e sparire dietro una porta quando non volevo essere trovata, restare minuti su minuti a incantarmi davanti a un Pontormo. Mi manca mia nonna Stu' e mi mancano i suoi racconti. Ci sono tante cose che voglio conoscere di noi.

domenica 5 giugno 2011

E avevamo gli occhi troppo belli

Ditemi che non è ancora finita. Ditemelo, ve ne prego. E' stata una settimana vissuta come stando in mare, con gli eventi che ti travolgono e il vento che ti asciuga i capelli e i pensieri.

Sappiamo com'è andata, ho vissuto la gioia di Milano, partecipato a quella di Napoli. Ho visto la gioia e la festa in piazza Duomo, la sera in cui "O mia bela Madunina" l'ha cantata un gruppo di messicani con tanto di sombreros e ci si è abbracciati tutti. Ho visto cosa vuol dire partecipare. Ho rivisto persone che non vedevo da anni, da sei anni addirittura. Sono finiti per sempre gli Anni Ottanta, hanno scritto Michele Serra e Massimo Gramellini. E' finita la sceneggiata. E da domani si ricomincia, con i referendum di domenica e lunedì. Forza e coraggio, si porta a casa anche questa.

E poi è arrivata Bassano, "Dialogando", il Festival dell'Integrazione. Che è il tema che amo più di tutti, che mi sta a cuore più di tutti. E anche lì c'era un'energia, ragazzi miei, che auguro a tutti di provare, almeno una volta nella vita. Poi mi sono innamorata, tante volte.

domenica 29 maggio 2011

Il Paese è reale

Ci siamo, tutto sta ad arrivare a domani pomeriggio. Dacché ho memoria, non ricordo una campagna elettorale vissuta così intensamente. E' vero, comunque vada qualcosa è cambiato a Milano, qualcosa in Italia sta cambiando. Ciondolo in casa ma non ce la faccio allora esco e attacco bottone con chiunque incontro: sui mezzi, al parco, in libreria, alle mostre. Chiacchiero, chiacchiero e mi confronto e mi incazzo anche, mi piace da matti. Mai vista e mai constatata prima tanta voglia di parlare, di condividere, di scambiare opinioni. Esco e conosco gente nuova, persone che hanno voglia di cambiare le cose.

Venerdì sera ero in piazza Duomo con un po' di amici, mai presa tanta acqua tanto felicemente. Ieri sera al Mix Festival. Riflettevo con un amico su come si fa a dire che - ne dico una - il registro per le unioni di fatto non è tra le priorità di Milano. Bah.

Rob è partito stamattina: andata e ritorno in giornata per Napoli. Sostiene di voler spostare la residenza solo quando nella sua città le cose andranno meglio. Che è lo stesso motivo per cui non l'ho spostata io. O meglio, stavo per farlo. Poi è arrivato il terremoto e ho pensato che del mio voto c'è più bisogno giù, dopo lo scandalo Sanitopoli, le presunte infiltrazioni camorristiche nella ricostruzione, il torbidume in cui si è mosso il resto. Dire la verità è un atto amore.

martedì 17 maggio 2011

Quello che

Voglio vivere in una città che sia fatta di tante città, di tante culture, di tutte le etnie. In una città dove ci sia posto, dove la mente lavora e non si atrofizza dietro i paraventi di finte paure strumentalizzate al servizio di sedicenti politicucci, tutti mediocri. Mi fanno ridere i falsi proclami, trovo aberrante ma allo stesso tempo ridicolo lo sproloquio di quanti agitano il vessillo del pericolo della diversità. Questo bisogno impellente di difendere gli spazi per sentirsi sicuri, di alzare muri. Questa esasperazione del concetto di ordine, di pulizia, mi fa rabbrividire. Il mito della purezza è, appunto e per fortuna, un mito.

Viviamo giornate convulse, noi che viviamo e amiamo Milano. Ora bisogna crederci, perché cambiare è giusto, perché bisogna avere il coraggio di battere strade nuove. Perché l'alternanza al potere spezza i monopoli, ridimensiona gli orizzonti personali che finiscono sempre per minare quelli collettivi. Forza Milano, ma senza false illusioni. Semplicemente perché è ora e semplicemente perché siamo stufi delle menzogne, delle scorrettezze, dell'appropriazione degli spazi pubblici e mediatici da parte di chi detiene e si arroga il potere. Basta al killeraggio politico dell'avversario, allo stato d'assedio permanenete contro le istituzioni democratiche e repubblicane del Paese, alle parole lanciate come granate, alle offese, ai giornali di famiglia sguinzagliati per mistificare, diffamare e diffondere falsità.

Viviamo giornate convulse perché anche Napoli è davanti a una scelta importante. Ma sembra che da lì non possa arrivare nessun "segnale": i napoletani è come non ci credessero più. Vedo Roberto passare dalla disperazione all'indignazione in un niente: "E' come un infinito travaglio - mi fa -. Fa' conto che Napoli è come fosse Fontamara".

Fontamara.
C'ho messo vent'anni a prenderlo in mano e a leggerlo. Non ci è riuscita la maestra Rita, un mio caro amico, gli amichetti di scuola, un ex compagno, mio fratello. Poi ho capito che era ora, per capire tante cose.

giovedì 12 maggio 2011

Evaporata in una nuovola rossa

Salone Internazionale del Libro e weekend elettorale alle porte: nitro pura. Ieri ho lavorato 16 ore, dormito sette in due notti e il resto ridotto a sopravvivenza. Nel pomeriggio allora ho lasciato a casa telefoni e pc e sono uscita. Ufficialmente, senza meta. Poi ho capito che tanto stavo andando a parare alla mostra dedicata a De Andrè. A Genova l'ho persa, me l'hanno portata a Milano.

Il primo impatto è con le carte dei tarocchi, quelle del live al Brancaccio, nel '98. Poi è come stare in barca, la musica verso il mare. E si sentono le lacrime e l'intimità che sanno dare solo gli appunti, le parole tra le mura di casa che oggi sarebbero tristemente affidate ai post-it, libri, foto, pensieri, dischi. Un'intensità che è propria solo della scrittura e che la cosiddetta tecnologia ci sta rendendo estranea. Il piano dai tasti ingialliti, lì dove se ne appropriavano le dita, la dedica della Nanda Pivano e le "anime" dei suoi "personaggi dolenti", portati allo scoperto e in dono all'Italia intera e chissà se le saremo mai grati abbastanza.

E' la settimana dei ritorni: il mare di Genova, mio nonno a Torino, a casa mia invece ho trovato Sansone ed Andy, col cuore in pezzi. La vita, tutta un irrompere: comincio stappando quel Roero.

giovedì 5 maggio 2011

Coinvolti

Non voglio diventare una vecchia col bastone paranoica, urlante e isterica. "Ok, recepito. Arrivo". Meraviglioso quando arrivi a un punto che non serve contestualizzare, non servono tante parole, non serve il resto. Biciclettata notturna, fino a Porta Venezia. Il bar Ethiopia non c'è più, un colpo al cuore: un karkadè però l'abbiamo rimediato da Awa e Theo.

Foto o non foto, complotto o non complotto. Mi fa solo molto pensare il fatto che il mondo sia "migliore" con un uomo in meno. Mi lascia sbigottita vedere l'esultanza, vedere che l'orrore genera orrore, quindi due facce della stessa medaglia. Non voglio entrare nel circolo vizioso di chi ha provocato più male ma rifletto molto in questi giorni sul concetto di arbitrio e di giudizio, quest'arrogarsi il potere di decidere della vita o meno delle persone, dei propri simili, questa condanna senza autodafé. Da parte di entrambe le parti in causa. Da un lato c'è la negazione dell'essenza umana, dall'altro l'imbarbarimento che ne scaturisce. Ha quasi il sapore del cerchio che si chiude - ma davvero siamo così illusi da credere che siano riusciti a infliggere un colpo risolutivo al terrorismo? -, della partita che, dopo quasi 10 anni, finisce al 90esimo. Temo però che i supplementari saranno cronaca anche per i nostri nipoti.

giovedì 28 aprile 2011

Pacem in Terris

Quando salgo sul treno che da casa dei miei mi porta a Roma e poi a Milano è sempre tragica. L'aereo avvicina, la macchina ti dà il senso del viaggio, la bici diventa una tua estensione ma è il treno ad essere il mezzo degli addii, non c'è che dire. Poi il fatto che l'ultima cosa di casa che l'occhio abbracci sia il Velino la dice tutta del resto. Ogni volta rivedo tutta la mia vita scorrere dal finestrino: gli oggetti, i volti delle persone, le città dove metto piede.

Niente montagna, 'sto giro, "perché non ha voluto", come ha detto mio babbo. E quando la montagna non vuole va rispettata e basta. Allora ho passato i miei pochi giorni di tregua ascoltando il gracidare delle rane dalla mia finestra. Sono tornate, nel laghetto del vicino, assieme agli aironi e a un'infinità di gazze. E il mio cane, che non mi perde di vista un attimo, come temendo le partenze improvvise.

Habemus Papam è un film bellissimo. Bentornato Nanni, uno dei suoi migliori in assoluto. Questa figura sofferente, talmente umanizzata nel suo timore di inadeguatezza, nel suo senso di profonda umiltà che è proprio solo delle creature migliori. Questo concetto di un Papa uomo tra gli uomini mi tocca profondamente. Il paragone è improprio e forzato, ma ho avuto in mente tutto il tempo il Celestino raccontato da Ignazio Silone, "L'avventura di un povero cristiano". Per me, uno dei libri fondamentali in assoluto. Accanto a Platone, Dostoevskij e alcuni passi di Dante, Pietro da Morrone.

martedì 5 aprile 2011

Par che dorma

Nulla di fatto - finora - a Tunisi. Sta' a vedere che la strategia del "foera di ball" suggerita da un ministro della Repubblica non è proprio azzeccatissima per gestire e risolvere la cosiddetta emergenza immigrazione. Mi chiedo come si possa concepire l'idea dei respingimenti. L'idea di ricacciare indietro i propri simili solo perché hanno avuto la sventura di trovarsi dalla parte sbagliata del mare. Respingere profughi e migranti, per quanto mi riguarda, è quanto di più inumano possa essere concepito. Come chiudere gli occhi davanti alla pulizia etnica. E la storia recente tracima di fulgidi esempi.

"Allora pòrtateli a casa", mi sono sentita rispondere qualche sera fa. Avrei voluto suggerire di aprire un libro di Storia, uno qualsiasi, tanto per prendere atto che le ondate migratorie esistono da quando esiste l'umanità, da quando c'è chi sta meglio e chi sta peggio. Ma il punto è anche un altro: perché non si muove l'Onu? Perché le Nazioni Unite si muovono solo quando si arriva ai gesti estremi, esasperati e piovono le bombe? (E sempre col risultato dell'elefante nella cristalleria, aggiungo).

E' il sei, ragazzi miei, è di nuovo il sei. E tutto si risveglia e realizzi che no, non passa mai. Non ho avuto il coraggio neanche quest'anno di andarmelo a trascorrere a L'Aquila, a casa. Mi risuona nelle orecchie la voce rotta dal pianto e dalla disperazione di un barista di Bazzano, a dodici ore dalla scossa. Presi per sbaglio io la telefonata, avrebbe dovuto intervistarlo una mia collega: io pronta a tornare dai miei, lui lì, senza più niente, a scavare. Roberto è partito stamattina, io non ce la faccio a seguirlo. "Ho capito, ma se sei una brava giornalista devi rimanere fredda, anche se li conosci", mi disse la mia collega, quel 6 aprile 2009. Mai pensato di esserlo.

lunedì 28 marzo 2011

Aridatece Bearzot

Non è retorica, non è neanche patriottismo spicciolo e non è perché fa tanto radical-chic. Ho il Tricolore alla finestra perché è quello del fratello di mio nonno Paolo, morto al ritorno del viaggio di nozze saltando su una una mina dei nazisti, e quello del fratello di mio nonno Lorenzo, fucilato tra i martiri di Capistrello. E' quello della zia Ori, staffetta partigiana, e quello della parte ebraica della mia famiglia caricata sui treni e portata nei campi di sterminio. E' quello di mio papà, che l'ha onorato in divisa, e quello del mio vicino di casa, arrivato anni fa col barcone della speranza.

"Pago le contravvenzioni, non ho amici negli uffici importanti e mi sarebbe penoso partecipare a un concorso (...). Sono italiano?", si chiedeva Ennio Flaiano nel 1957, prima che nascesse la mia mamma. Pago le tasse e la maleducazione altrui mi manda in tilt. Sono svedese? Mah, un po' sabauda senza dubbio.

Milano è la mia città, mi ha adottata, mi dà ogni giorno la possibilità di vivere e frequentare persone fuori dall'ordinario e guai a toccarmela ma di Torino sono perdutamente innamorata. Seguire le celebrazioni per il 150enario è quanto di più bello mi sia capitato ultimamente, assieme a"Salviamo l'Italia" di Paul Ginsborg, al Museo della montagna degli amici del C.a.i. e ai ravioli del plin. "Qual è lo scopo al quale tutti ci affatichiamo? Cos'è più difficile riunire, città e province divise o volontà e cuori divisi?". Massimo D'Azeglio si è anche risposto, io il post lo lascio aperto.

venerdì 11 marzo 2011

E per me un Ancomarzio

Mi innamoro delle idee, dei progetti, delle imprese pindariche. E veder nascere un libro è stata una delle esperienze più belle mi siano mai capitate. E ora che è uscito dalle viscere dell'hard disk e lo vedo in giro, nelle librerie e sui tram, è come se incontrassi pezzi di casa, di notti in bianco passate a discutere sulle virgole, sui capoversi, su quanto tagliare. Rivedo le serate tra i faldoni e le matite rosse e blu e l'editing e le prove per la copertina. Le ansie di Rob, che l'ha scritto, la fatica di fargli da ostetrica.

"E per me un Ancomarzio" è una delle sturiellet raccolte in "Perché Pippo sembra uno sballato" di Andrea Pazienza. E' praticamente introvabile, a meno che non risolvano i vari contenziosi e lo ristampino. Lo regalai qualche anno fa al mio fidanzato di allora. Una ricerca durata mesi, per non dire del resto. Ho imparato che non mi priverò mai più di una cosa verso cui nutro una passione viscerale: ho continuato a cercarne un'altra copia da allora. A Milano non c'è fumetteria che non lo sappia. L'ho trovata, la mia, praticamente ci sono inciampata per caso mentre mi godevo Torino col mio bene: "Es difisilo imaginar como se pote star ben tot solett nel diserto liggend'giurnalett!". Praticamente un manifesto di vita.

martedì 22 febbraio 2011

Se non ora, quando? Mai

Parto piano, proprio piano piano. Tengo tengo tengo, mi impongo di non oltrepassare la linea della decenza. Poi faccio come il Titanic in avaria: comincio a lanciar petardi. A cadenza regolare l'uno dall'altro, toc, pausa, toc, come scanditi da un metronomo. A mo' di avvisaglia, sempre tenendo a bada la bile. Se poi però quello che mi sta di fronte persevera - vuoi perché un po' naif, vuoi perché duro di comprendonio, vuoi perché 'taccabrighe inside - allora, gente, è il Vajont. Dovesse essere pure maleducato, è la fine.

Nell'ultima settimana è andata un po' così, per vari motivi, e non ha aiutato l'integrità dei nervi - miei e quelli di chi mi sta intorno - il fatto che, ne dico una, un partito di governo abbia sabotato una trasmissione tv perché teme gli scossoni che possono arrivare lasciando acceso un microfono davanti alle bocche della sua base elettorale. Siamo una democrazia, mi pare, ricordiamocelo sempre.

Ne dico un'altra. Sono passati due anni da quando Beppino Englaro ha combattuto una guerra - perché questo è stata - per far valere i diritti di sua figlia Eluana. Ebbene, stiamo ancora qua a discettare e cercare di far capire anche ai muri che in un Paese degno di essere considerato civile uno può scegliere come disporre della propria vita davanti alla malattia. Dovrebbe essere tra i principi inviolabili della nostra Costituzione, tra i diritti inalienabili via che, ops, non c'è, perché c'è gente - in questa sventuratissima Italia - che crede di potersi arrogare il diritto di decidere e disporre anche della vita di chi la pensa in maniera diversa.

E poi c'è la Libia. E allora arrivo allo stadio finale. Non è un silenzio assordante, quello del governo davanti ai morti. Anche adesso, mentre scrivo, piovono razzi sulla gente. Scrivo e guardo le agenzie e mi convinco che no, lo Sato italiano non è che non ne vuole sapere di quanto accade a un tiro di schioppo da casa nostra. La sua posizione è chiara fin dall'inizio: la nostra politica, tutta, e la nostra finanza, sempre tutta, stanno col regime, perché è col regime che hanno stretto accordi - politici, economici e commerciali -, è col regime che si sentono al sicuro. Siamo riusciti a far finta di niente quando i razzi libici sono arrivati a Lampedusa, figuriamoci adesso che si stanno lavando i loro panni in casa propria. Perché non sono nata nell'età della Pietra, mi domando, perché?

domenica 13 febbraio 2011

Giusto perché Voi siete il Sire, fan 5mila euro: è un prezzo di favor

Il punto è che a me questa cosa della dignità ferita della donna italica non ha mai convinto. Il fatto è che ho passato un'intera settimana a discuterne con le mie amiche più care, con Roberto, con le colleghe infervorate e con quanti mi hanno invitato via Facebook e con le mail a prendere parte al presidio di questa domenica in piazza Cairoli, a Milano. Quello che penso l'ho sintetizzato qualche post più giù: non credo basti una vagonata di siliconeidi imbaldracchite a cancellare anni di lotta sociale e ad infangare la dignità di milioni di persone per bene.

Tant'è che pensavo di non andare. E non stavo andando: ho preso Sansone e ce ne siamo andati al parco, così da lasciare Rob a scrivere in santa pace. Ah, che domenica degna di essere vissuta. Poi qualcosa ha fatto clic: ho preso e sono andata. Non è la dignità della donne la posta in gioco. O, almeno, non è solo quella. E' la dignità degli uomini, minata e calpestata allora allo stesso modo, è quella dei giovani, degli studenti, dei lavoratori onesti, di chi le cose che ha se l'è sudate, dei bambini (soprattutto di quelli fatti crescere senza infanzia). In altre parole, è la dignità dei cittadini.

Meravigliosa Milano sotto la pioggia: una settimana di primavera e proprio oggi una pioggerellina sottile che sembrava non volesse dar tregua. Be', non ha scoraggiato nessuno: il centro è stato invaso da gente come me. Giovani votati a San Precario, studenti che nei cartelli si proclamavano "nipoti di Einstein", coppie che hanno condiviso il resto mano nella mano, come fossero i miei genitori. Bilancio: facce sorridenti in ogni dove e la speranza del Pm10 in picchiata.

domenica 6 febbraio 2011

Per quando noi non ci saremo

Qualcosa è cambiato, dite? Non lo so. Qualcosa cambierà? Non so nemmeno questo, più che altro ho quasi paura a rispondere. E se poi non cambia niente? Un momento, mi sale l'ansia, provo a chiederlo anche a Roberto, che era ieri con me al Palasharp di Milano. Ci vorrà tempo, dice. Ad ogni modo, è più ottimista.

Certo è che mi sono sentita meno sola, meno fessa nel perseverare a cercare di essere una persona migliore, una buona cittadina. "Vado a letto tardi anch'io la sera - ha detto nel corso del suo intervento Umberto Eco - ma perché leggo Kant". Allora è vero, no perché da un po' di tempo a questa parte cominciavo a sentirmi specie in via d'estinzione e faccio una gran fatica a rapportarmi con chi non la pensa come me. Prima cercavo il dialogo, ascoltavo le ragioni del prossimo, le anche accettavo. Adesso mi incazzo e mi viene solo un gran mal di stomaco.

Giornali e tv dicono che eravamo in diecimila. Eheheh, hai voglia a screditare e a far finta di niente: certo, il processo di rincretinimento dell'italiano medio, partito col Drive-in, ha fatto i suoi danni. Ma come in tutte le tragedie, ci sono gli scampati. Come a Hiroshima, come alla Shoah, come alla campagna di Russia. Ma sarà un processo che richiederà anni e fatica, riparare ai danni fatti sarà lungo e difficile.

Quello che serve all'Italia, più che il semplice rinnovo dell'intera classe politica, ormai, temo sia una profonda mutazione antropologica. Ci vorranno decenni, ad essere ottimisti. Nel caso, noi non faremo in tempo a vederlo, nemmeno i nostri figli. Ma tocca far presto, anche se la scienza progredirà e quindi i nostri nipoti avranno un'aspettativa di vita più lunga della nostra.

giovedì 27 gennaio 2011

השנה הבאה בירושלים

Forza, non lacrime. Forza perché finché ricorderemo, finché avremo ancora tra noi chi ha vissuto l'orrore,non conosceremo la paura, non conosceremo la resa, saremo forti, saremo al sicuro.

Oggi, più di sempre, mi manca Stu'. Lo stesso giorno in cui hanno abbattuto i cancelli di Auschwitz, mia nonna compiva trent'anni. Oggi non ce l'ho più. Oggi, più di sempre, vorrei arrivasse anche a me un nonno nuovo, come al bimbetto raccontato da David Grossman in Vedi alla voce: Amore.

Oggi, più che mai, mi sento parte di un mondo, parte di un tutto. Hashana haba'a b'Yrushalayim. L'anno prossimo a Gerusalemme.

martedì 25 gennaio 2011

Arancia metalmeccanica

Camminavo per strada dopo il lavoro, pensando a Pietro che sta per compiere un anno e a un po' di amici che vedo stasera, quando mi si è fatto incontro un signore con gli occhi buoni, porgendomi un volantino. Amore a prima vista: l'iniziativa si chiama "Arancia MetalMeccanica" e a Milano il banchetto è in largo Cairoli.

Ti porti a casa una retina di agrumi, dai i tuoi 4 euro e sostieni gli operai, quei 2.325 lavoratori che al referendum della Fiat a Mirafiori sono riusciti a votare "No". Dico sono riusciti perché chissà quanti altri avrebbero voluto ma non sono riusciti a farlo.

Quel 46% ha detto no alla rinuncia dei propri diritti, della propria dignità, riaprendo la partita di un'Italia che non accetta supinamente di far pagare lo scotto della crisi economica ai soliti ultimi, ai lavoratori, ai giovani. Ebbene lo sciopero del 28 gennaio, proclamato dalla Fiom, deve rappresentare un momento di unità di tutte le lotte del Paese, da quelle dei lavoratori a quelle degli studenti, da quelle in difesa dell'ambiente e a quelle dei beni comuni.

A Milano, venerdì, la manifestazione parte alle 9 e mezzo da Porta Venezia. Con gli operai, sempre.

lunedì 24 gennaio 2011

Ognun per sé. Ma chi per tutti?

Cosa resterà nei libri di storia di quello che stiamo vivendo in questi giorni? Me lo chiedo come se lo chiedeva Luca Carboni degli anni Ottanta (o forse era Raf?). Me lo chiedo e allo stesso tempo me lo sento scivolare addosso. Sono satura, esasperata, non ne posso più. "Dimissioni" ha scritto qualcuno su un lenzuolo appeso a un balcone all'ultimo piano, in piazza Bolivar. Quando l'ho visto, dall'autobus, non ho potuto fare a meno di sorridere. Stasera prendo una bottiglia di vino e vado a bussare a quella porta, tanto per fare due chiacchiere.

Abbiamo avuto Andreotti, abbiamo avuto Craxi, abbiamo avuto una manlevata di gente che non meritava le poltrone da cui impartiva ordini, ce le abbiamo avute. Ma un livello di bassezza del genere, mai. A livello umano, innanzitutto. Roba che neanche nel Bestiario di Pazienza. Ci vorrebbero le copertine di Cuore, per farci sentire meno soli. E "casse di Maalox, per pettinarci lo stamaco", per dirla col Liga. Ah, come mi sento pop oggi.

"E' una grave offesa per la dignità di tutte le donne", fa la mia amica Anna. Tutte le donne? Avevo gli occhi fuori dalle orbite. Come sarebbe, di grazia? Perché? Basta un torpedone di baldracche a infangarci tutte? Anni e anni di battaglie e lotte sindacali, sul lavoro e chi più ne ha più ne metta gettati all'aria da chi al telefono dice: "Non ho voglia di mettermi a cercare un lavoro, che poi mi danno mille euro al mese"? No, non sono d'accordo. E questo femminismo spicciolo mi dà molto fastidio. Penso alla Bonino, penso alla Camusso, penso alla De Gregorio e mi passa.

"Se se, fai tanto la Giovanna D'Arco, poi sgrani gli occhi alla commessa che ti infila la crema antirughe tra i campioncini". Caro Roberto, von vedo l'ora di frugarti nell'armadietto. Al che ho chiamato mia sorella vera e gliel'ho raccontato. "Lo dici a una che l'ultima volta si è sentita chiedere l'antirughe da un tizio che stavo frequentando", mi fa. Sì, ha fatto la doccia e poi lo ha beccato nel bagno che brancolava cercando la crema. La cosa mi ha fatto morire dal ridere: "Tuo padre non l'avrebbe mai fatto", sono riuscita solo a biascicarle, ridendo come una matta. "Manco il tuo". E sia lodato il cielo.

martedì 18 gennaio 2011

Hasta la victoria, siempre

Togliete il telecomando a mia madre. Per pietà, toglieteglielo. Guarda il peggio del peggio del peggio, la tv del pomeriggio. E quando è fissato sempre sullo stesso canale, penso, non è più strumento di democrazia ma di tortura per le sinapsi. "Sarebbe bellissimo vederti fare un servizio in tv", esordisce. "In quelle trasmissioni che vedi tu?", domando. "Sì, fai la giornalista, no?", lei piccata. "Allora tanto vale tirarmi un colpo in bocca", mi scappa così. "Allora sbrigati a cambiar mestiere" e butta giù. Ok, non era il modo più educato per avviare un dialogo con chi mi ha partorito con dolore, ma sfido chiunque, per la seconda sera di fila a sentire una tiritera del genere nell'orecchio, Mahatma Gandhi incluso. Al che, ovviamente, è venuto giù il mondo.

Credo abbiano fatto più danni l'educazione cattolica e le suore che i talebani. Ora, per carità, la mamma è sempre la mamma ed è pura utopia immaginarsi, per come vanno le cose in Italia, un futuro prossimo senza i Cucuzza o le D'Urso e le De Filippi e campionari vari. Allora allaccio la bici al palo e frugo nella testa per cercare qualcosa che oggi mi abbia illuminato la giornata.

Ho letto una cosa rincuorante su La Stampa: la bella gioventù che si scrolla di dosso fango e torpore e fa, crea, realizza, anche senza soldi, anche senza votarsi l'anima al potente di turno. Storie come quella della compagnia teatrale "Scarlattine", che fa base nel borgo abbandonato di Campsirago, nel Lecchese. O i ragazzi del cinema "Kino" di Roma, che hanno sborsato 600 euro a testa e fanno rivivere il vecchio cinema Crauco, al Pigneto, a due passi dal bar in cui Pasolini girò "Accattone". Ci proiettano la Nouvelle Vague, i documentari indipendenti, i b-movie che hanno fatto innamorare Tarantino. Molti dei soci si sono conosciuti in piazza, mentre protestavano contro i tagli. E ancora i ragazzi, appena 23enni, che hanno fondato la rivista letteraria Inutile, a Torino e quelli che si ritrovano ogni marzo a Grottaglie, a mezz'ora da Taranto, per decorare le facciate delle masserie abbandonate. Non sono sporcamuro: Blu, ad esempio, è finito alla Tate di Londra e sempre da Grottaglie sono passati anche i brasiliani Os Gemeos, l'americano Momo e il fotografo francese Jr, che l'anno scorso s'è portato a casa il "Ted Price", il premio "per chi cambia il mondo". E io? Catena leggera, preghiera ogni sera: intanto passo la notte a benedire la bici.

domenica 16 gennaio 2011

Anche per oggi non si vola

Avrei dovuto fare, dire, partire in questo fine settimana. E invece a tirarmi un calcio sugli stinchi ci ha pensato una mezza influenza che mi ha dato il tormento per tre giorni. Ovviamente quando avevo già il piede sul treno. "Sono state giornate furibonde senza atti d'amore" - per dirla con qualcuno -, per giunta con Rob in trasferta a San Giorgio a Cremano per guardare dentro l'ennesima sparatoria in strada (quella balzata agli onori della cronaca perché a rimetterci la vita è stato anche il padre di una giornalista del Mattino, freddato solo perché testimone oculare, quindi scomodo per definizione), mia sorella a Berlino per raccogliere i suoi cocci e nemmeno la compagnia di Sansone, spedito a Monza, che almeno così poteva farsi portare al parco.

Fuori, il risultato del referendum allo stabilimento torinese della Fiat. Una tragedia umana e sociale. Se la competizione industriale e produttiva e il marketing del made in Italy devono ora competere con economie dove non esistono i diritti di chi quelle economie crea, né tutele sindacali è la fine, signori. I primi a farne le spese saranno gli operai. Poi toccherà anche noialtri, subalterni e mangiati vivi dalle tasse. Arriverà e presto. Allora ho acceso la radio e la voce di Claudione Agostoni dalle frequenze di Radio Popolare mi ha fatto venire le lacrime agli occhi.

E' morto Vincenzone, Vincenzone Paudice, non ce l'abbiamo più. Era lui negli anni Settanta a spiegare ai bambini nelle scuole milanesi cosa voleva dire fare l'operaio e lottare per i diritti. Lui che si era reinventato la vita, quando ne poteva più, da ristoratore ai Navigli. Presente Jovanotti? Dallo scimmiottare Gimme five è poi diventato adulto, anche grazie a Vincenzone. A Radio Pop lo chiamavano "la Wikipedia vivente del '68". Altra vita: ha preso su ed è andato in Africa, a portare sorrisi e crepes alla Nutella ai bambini degli slums di Nairobi. Su Facebook lo trovate ancora lì. Sarebbe bellissimo trasformare la sua bacheca in un tazebao, una sorta di Zonker's Zone, come quella di Enzone Baldoni, che ci tiene ancora tutti stretti a lui. "Quando qualcuno mi chiedeva cosa significa essere comunista a me veniva da rispondere: essere come Vincenzone", ha detto Agostoni. E' morto venerdì, poco prima di conoscere l'esito del referendum a Mirafiori.

mercoledì 12 gennaio 2011

Zang tumb tumb

Me ne ha parlato appena ieri sera la mia amica Fra'. Oggi ho una dipendenza in più e si chiama Friendfeed. "Ma sbrigati - mi fa - stiamo già migrando". E infatti adesso arranco dietro a gente a cui chiedo di spiegarmi cos'è #Quora. Ovviamente e rigorosamente online, senno' che gusto c'è? Così nel frattempo vivo di Internet, di aria e di zuppa di miso, che in casa abbiamo finito il thè.

Oggi me ne è capitata una peggio dell'altra. Così ho fatto un fischio alla "mia sorella nell'arte e nella vita" - per dirla con Albert - che però per me è Andy. Ero passata a prenderlo per un caffè. L'ho trovato che imprecava con la fiamma ossidrica in mano contro una specie di mobiletto che secondo lui in realtà è un divisorio e bla bla bla che deve essere pronto per il Salone del Mobile.
"Beeello il mobiletto", faccio. Al che tira un cristone e capisco che anche lui sta tenendo testa a una giornata piuttosto faticosa. Così dal caffè diventa una chiacchiera, dalla chiacchiera due passi, poi "uh, incredibile, è sole?" e alla fine abbiamo pensato bene di andarcelo a godere dalle vetrate del Museo del '900 di Milano, nuovo di pacca.

Bello, eh. Massima stima per Rota. Tante belle cose ma il cuore fa i tonfi per Boccioni, per l'Arengario in sè, per la Sala delle Cariatidi vista da là dentro e davanti al Quarto Stato, poi, uno si becca tutta la Sindrome di Stendhal. Continuavo a tornare indietro per rivederlo, gli tendevo agguati. All'uscita ho ricominciato il percorso daccapo: l'hanno messo per primo. Pensare che il buon Pellizza da Volpedo si è suicidato quando all'inizio il suo capolavoro non se lo filava nessuno. Ma guarda che siamo veramente un popolo di poverini ignoranti. Al che mi torna il cattivo umore e pure a Andy, dato che - essendo l'ingresso gratuito fino a febbraio - dentro ci trovi anche gente che sembra essere capitata lì per caso, forse semplicemente per fare pipì. E tocca pure capirli: al bar devi prendere almeno il caffè e alla Feltrinelli devi sganciare le monetine. Ma dopo l'ennesima fiumana di un gruppo anziani, scatta l'urlo di Andy: "Signorina, ci fate pagare il biglietto a tutti oggi, per pietà?!". E a me, che nel frattempo m'ero rabbuiata: "La vuoi piantare - mi da' un colpo sulla nuca - che mentre Stu' tirava calci nel pancione della tua bisnonna Boccioni donava al mondo la sua "Donna al caffè"?!". Andy, se non esistessi ti inventerei. Manco fossi il mobiletto.

martedì 11 gennaio 2011

La classe operaia non va in paradiso

Ecco, siamo messi così. Veder piangere un operaio - che potrebbe avere l'età di mio papà - all'uscita della sua fabbrica, dove per anni avrà dato anima e corpo, immaginare il clima che si respira là dentro e fuori in questi giorni - soprattutto in questi giorni -, a ridosso del referendum sul nuovo contratto di lavoro per le tute blu della Fiat di Mirafiori, trovarsi con uno stipendio da fame e sentire costantemente che la vita vera ti viene strappata dalle mani, senti solo di soffocare.

domenica 9 gennaio 2011

E' una tribù che balla


Sveglia all'alba - che per me, di domenica, è mezzogiorno -, accendo il pc, apro tutto l'ambaradan e su Facebook iniziano a scorrermi sotto gli occhi commenti dei miei contatti maglianesi e marsicani che sono tutti un 'paura', 'e ci risiamo' e 'tu l'hai sentito?', 'Madonna che botta', 'tremo tutto', etc etc. C'è stata una scossa di terremoto, intorno alle 11 e mezza: 3.9, epicentro nel Fucino e, precisamente, nel mio paesello, mi spiega un'Adn. Nello stesso momento su Rainews passa l'ultim'ora. Penso che alle 11 e 36 mio fratello aveva un treno per Roma, i miei erano sicuramente fuori casa. Afferro il telefono, che comincia a squillare: è babbo.

Figurarsi, mi cascano dal pero, come al solito. Io li adoro. Mio papà se ne lava subito le mani "Ah-ha, guarda, siamo appena rientrati. Ti passo mamma". Arriva lei: "Quando? E l'epicentro dove? Ah. Manno', non abbiamo sentito niente, ero al centro commerciale co' tuo padre. E comunque ora devo chiudere, c'è di nuovo il telefono che squilla di là, tutta gente che chiama pe' sape' se siamo vivi. Sai che dico? Tiè!". Sono meravigliosi.

sabato 8 gennaio 2011

Sì, lo voglio

Il giornale sotto gli occhi me lo mette Roberto, mentre sono in piena fase ripiglio post-bagordo. "Nooo Ro', non ficcarle in testa pure i drusi, adesso!", sbotta Andy. "Mi piace vederle gli occhietti lucidi", ribatte quell'altro. Non bacio nessuno, faccio una smorfia ma dico comunque 'buongiorno', agguanto il giornale col caffè, accarezzo Sansone sulla testa e scopro questa storia fantastica sul confine tra Siria e Israele.

La bionda Samar e il suo baffuto Nabih , drusi siriani, separati dal confine di guerra. In quella del '67 Israele ha conquistato i due terzi del Golan. Una parte delle alture fu riconquistata nel '73 da Damasco e da allora la Siria ne chiede l'intera restituzione. Per questo una forza di pace dell'Onu vigilia sulla striscia demilitarizzata di terra che corre lungo la linea del cessate il fuoco. Ed è proprio quella striscia che ha ostacolato l'unione tra Samar e Nabih (e da allora ostacola l'intero popolo druso: famiglie, amici e parenti divisi a forza, come nella Germania dell'Est).

Dal 2007 questi due disperati aspettavano il permesso di Israele perché la sposa passasse dal Golan siriano a quello amministrato da Tel Aviv. Permesso ogni volta negato. Lei s'era già agghindata a nozze il 28 dicembre. Il timbro però le era stato nuovamente negato. Poi mercoledì 5 gennaio lei si è accostata, in abito bianco, al filo spinato del versante siriano, col codazzo degli invitati e i viveri per il banchetto. E le sbarre si sono alzate.

Per anni si sono gridati il loro amore coi megafoni: uno di qua, l'altra di là (le linee telefoniche, essendo tecnicamente i due Paesi in guerra, sono interrotte). Ma il giorno del loro matrimonio la sposa non ha mai sorriso: ha dovuto lasciare la sua famiglia e il suo Paese. Alla fine della cerimonia ha raccolto il suo strascico e si è avviata sola, parenti alle spalle, lungo la linea di demarcazione. Samar ha 25 anni.