Si chiama "Esperanto" l'ultimo capitolo di Tra amici, opera di Amos Oz da poco pubblicata da Feltrinelli, tra le sue che amo di più. Una storia che va a incastonarsi a meraviglia tra le altre che raccontano la vita al kibbutz Hulda. Ci sono i ricordi dentro, suoi che diventano anche miei. Ci sono i miei nonni e mio papà e allora sento l'impellenza di fare aliyah nonostante l'Errante scuota la testa e sorrida: "Come vuoi che te lo dica, in esperanto?", gli avrebbe chiesto tra il serio e il faceto la mia maestra Rita.
Esperanto e bye bye, Babele. Lo dico e la mia amica traduttrice mi guarda allarmata dallo spettro dell'ipotetica disoccupazione, angosciata come l'avessi messa a sedere su un timer a orologeria. Lo dico e penso alla mia sorella nell'arte insultato per strada a Roma mentre Milano ritrova il suo festival Mix, quest'anno alla 26esima edizione, sempre con una rassegna di film emozionanti e di qualità.
Esperanto, tanto per riuscire a rendere ovvio e scontato a chicchessia che i diritti civili sono diritti universali e che come tali spettano a ciascuno e che non c'è giustizia né Stato civile finché siano appannaggio solo di alcuni.
Esperanto, ha la stessa radice di "esperanza".
"Credo che per fare del buon giornalismo si debba innanzitutto essere degli uomini buoni. I cattivi non possono essere buoni giornalisti". Ryszard Kapuściński, Autoritratto di un reporter
lunedì 25 giugno 2012
venerdì 1 giugno 2012
Di certe nostre sere
La chiave gira nella toppa e resto immobile, tanto non me l'aspettavo. Ti porti addosso l'Emilia e la fatica dei suoi racconti e sussulti al passaggio del tram e quando il cane ti si infila sotto la sedia, urtandola. Eccola Milano, che accoglie di suo, figuriamoci quando si torna di Shabbat. Racconti che si intrecciano e parole dette piano. Si muovono e c'incantano le ore, come le onde del mare.
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