domenica 29 gennaio 2012

Mitzvòt

Di Thomas Geve ho sentito parlare per la prima volta un anno fa. Aveva tredici anni quando è stato deportato ad Auschwitz. Dopo venne Gross-Rosen e Buchenwald dove, finalmente, nel 1945 l'esercito alleato abbatté i cancelli. Thomas scampò alla selezione perché dimostrava più della sua età: venne allora assegnato ai lavori forzati. Dopo la liberazione, non potè lasciare subito il campo, perché troppo debilitato: chiese allora delle matite e cominciò a disegnare sul retro dei formulari delle SS quello che aveva visto, vissuto e subìto. Da allora non l'ha più fatto e se quei disegni sono arrivati fino a noi lo dobbiamo alla sensibilità di suo padre, che li conservò fino al 1985, anno in cui li ha donati allo Yad Vashem di Gerusalemme.

Geve è oggi a Torino, l'occasione è la mostra “Qui non ci sono bambini”, che trae il nome proprio dal suo libro, pubblicato un anno fa da Einaudi. Cinquanta dei suoi 79 disegni sono esposti, per la prima volta in Italia, al Museo della Resistenza e c'è tempo per vederli fino al 13 maggio. Sono felice sia Torino a dare spazio alla sua testimonianza. La città di Primo Levi, di Norberto Bobbio, di Cesare Pavese. Mi piace sentirla anche un po' mia, ormai. A Torino ci coglie la notizia della scomparsa di Scalfaro. Robbo, manco a dirlo, tempo di avere conferma ed è già con la testa a Porta Nuova. “Pensaci tu qui, torno domani”. “Eh?”. “Su, una mitzvà”.

Mi attacco al telefono e mando allora un sms al mio amico Massimo, che ha intervistato Oscar Luigi Scalfaro a marzo scorso. Ricordo la sua emozione prima della partenza e al ritorno e quel nostro brindisi all'intervista e alle esperienze indimenticabili che questo mestiere ci riserva. Riporto allora qui un passo di quell'incontro, raccolto nel libro “La Costituente: storia di Teresa Mattei” (pag.9, Altreconomia): "Prima di tutto: non state alla finestra a guardare. E' troppo comodo. E' grande la tentazione da parte dei giovani di dire che la politica è sporca e che è un mondo di profittatori. Se questo fosse vero si moltiplicherebbero le ragioni per entrarvi a portare un clima diverso per attuare la giustizia per chi è più lontano. E' dannoso stare con le mani in mano. Allora dico: non state a guardare e non arrendetevi mai! Lo ripeto ai giovani: non arrendetevi mai!"
Oscar Luigi Scalfaro

giovedì 26 gennaio 2012

Come mi batte forte il tuo cuore

"Ci chiediamo cosa succederà alla memoria della Shoah
quando scomparirà anche l'ultimo sopravvissuto:
i suoi figli saranno qui per continuare a testimoniare."

Elie Wiesel

martedì 17 gennaio 2012

Zona Cesarini

“Fitostimoline”. Me lo scrive sul retro dello scontrino il signore al banco della gastronomia. “Fa miracoli, sa? Non si trascuri”. Ha notato il mio braccio alla Freddie Krueger e, discretissimo, mi rifila la dritta insieme al pacchettino con il pranzo. Bello quando qualcuno si prende cura di te: una voce amica che mi fa ridere al telefono, chi si presenta a sorpresa in casa con vassoi traboccanti di dolci siciliani per “rimettermi al mondo” e un pezzo di challà post-Shabbat, chi si attacca al citofono e canta “E ti vengo a cercare”, i colleghi che mi riaccolgono al lavoro. Si avvicina il Giorno della memoria ed io quest'anno ci arrivo senza più nonni. Devo decidere da sola a quali convegni partecipare e quest'anno oltre a Milano e Roma guardo anche a Torino e Ferrara: la famiglia si allarga. Di questo si vive. E di tanto altro ancora.

Per il resto, ha ragione la mia sorella nell'arte: ci affanniamo per avere l'eclatanza ma a conquistarci sono sempre le piccole cose. Me lo dice al telefono mentre lo raggiungo al bar: è seduto che sgalletta con la stessa persona che oggi ho cercato invano al telefono per un'intervista. Li guardo come fossi finita in una commedia di De Filippo. Milano è pazzesca, come perdersi ai giardinetti. “Ho rotto le scatole in tutte le redazioni in cui ho lavorato per avere il suo numero e me lo trovo con te?!”. “Ti ho spacciata come esperta di Kieslowski. Regolati”. Le forze m'abbandonano. Ce lo diciamo via sms: al nostro saremmo sembrati due maleducati disturbati, in effetti. Recupero forse solo quando tiro fuori la brillante teoria dei sette cretini che si incontrano, in media, per strada prima di imbattersi in una persona intelligente: è di Carlo Fruttero e l'ho scoperta stamattina, mentre sfogliavo i giornali. Pfui, salva in zona Cesarini. Non gli ho chiesto, però, quanto tempo è passato dal momento in cui è uscito di casa.

giovedì 5 gennaio 2012

Vedi alla voce: Amore

Amo Milano alla follia, come Woody Allen nell'intro di Manhattan. Amo Milano e guai a chi me la tocca e le critiche sterili e i luoghi comuni su questa città - che a un certo punto della mia vita ha praticamente deciso di adottarmi - mi infastidiscono parecchio.

Amo Milano e finché me ne sto qui ho certezze assolute e niente può farmi male. Lo scrivo per ripeterlo a me stessa, ora che sono reduce da una tre giorni in cui – essendomi dovuta allontanare - ho dovuto cercare tutto il tempo di preservarmi dall'odio, come non ricordavo di averlo mai dovuto fare e a cui non ero preparata. “Ne vieni a parlare a me, delle conseguenze dell'odio, a' Ci'. Qua, per giunta”: lo scossone me lo dà il mio amico mentre passeggiamo per il ghetto. Ho deciso di fermarmi a Roma prima di proseguire per Milano: avevo bisogno di ritrovarmi, di tirare il fiato e di non impormi niente. Questa città è sempre un utero, mi inghiotte intera e poi mi rigenera, anche se ultimamente mi fa paura per il clima di intolleranza che alleva e, a tratti, coccola e protegge. Mi concentro allora sulla mia, di Roma: quella della crostata di Boccione, sempre in borsa fino al Pincio, delle librerie dell'usato, delle anticaglie e delle campane che rintoccano a ogni mezza, di Gabriella Ferri e dei gabbiani “che calano sulla Magliana”, dei turchi “arrivati all'Argentina” e dei negozi di antiquariato che non sono in via del Corso, degli autobus che non so mai dove mi portano, delle passeggiate finché reggono le gambe, delle case, che mi incanto a guardare immaginando di viverle.

Torno a Milano e torno a casa. E il resto sì, che sarà mai: che scatti pure quest'area C e il nuovo Ecopass, sopravviveremo alle orde sui mezzi pubblici, allo smog che non demorde (del resto, come potrebbe, così?) e alla crisi che morde, ai nostri lavori precari. Una sorta di inno alla vita, il mio, tanto alle brutture ci pensa l'oblio. Appuntamento con un altro amico, stavolta davanti al Quarto Stato di Pellizza da Volpedo, così da non dover dire niente. Che le parole, in fondo, cosa sono? E' la bellezza che, c'è da scommetterci, salverà il mondo.

domenica 1 gennaio 2012

Fortuna omnia vincit

Mi accorgo che l'anno è finito dall'agenda: per segnare i turni della radio ho dovuto inaugurare quella nuova. E' la stessa da otto anni a questa parte ma la cosa mi dà un piccolo moto d'animo ogni volta che la libero dal cellophane. Sveglia da poco, telefona la mia amica: ha appena finito di scrivere sul suo quadernetto la lista delle cose buone del 2011 e gli obiettivi per questo 2012. “Obiettivi – precisa -, non propositi, 'ché quelli per definizione già sappiamo che disattenderemo”. Nutro un'ammirazione smisurata per il suo zelo.

Sarà per quello che io, di buoni propositi, non ne ho manco mezzo. Mi ci ha fatto pensare ieri sera un altro amico, che a cena ce ne ha elencati una sfilza, al punto che ho dovuto mettere anche le mie dita a disposizione per portare il conto e quelle degli altri. Mi impongo di trovare un proposito buono e dopo minuti di arrovellamenti riesco a partorirlo: imparare finalmente le regole del rugby e quelle del basket, così la smetto di scopiazzare i colleghi della Gazzetta e di fingere competenza in materia. I miei amici ridono, io intanto penso che però potrei fare di meglio: questa cosa di non avere buoni propositi per l'anno nuovo mi atterrisce.

Mia sorella nell'arte invece sostiene che sarà un anno bellissimo e ricco di sorprese, per me e anche per lei, proprio perché non abbiamo aspettative. Tsé, sarà. Mi dà però tepore e mi rassicura l'idea del quadernetto della mia amica al telefono. E allora comincio a ripercorrere, agenda alla mano, situazioni, visi, emozioni, amori, lavori, posti in cui sono stata, canzoni, da gennaio di un anno fa ad oggi e scopro un mondo. E allora sì, che me ne rendo conto: la mia si chiama fortuna. E, molte volte, è pure sfacciata.