lunedì 26 dicembre 2011

Parole e memoria

Stringo le mani di Roberto. Stringo per sentire meno dolore. Due voli e uno scalo a Francoforte perché "il peggio" non mi colga sola. Dobbiamo essere pronti, ci viene detto. Sediamo e aspettiamo di poter entrare, mentre vedo cadere tutti gli anni passati per terra. Penso al peso della memoria, al tempo che non ritorna, a quello sprecato, al patrimonio affettivo e culturale di cui, inevitabilmente, sarò privata. Vorrei aggrapparmi al tempo, riportarlo indietro, riaccendere lo sguardo e la mente. Penso che avrei dovuto prevederlo e non farmi cogliere così alla sprovvista. Mi colpevolizzo, provo amore -  fortissimo - e senso di appartenenza. Mi misuro con la mia impotenza.

Dai finestroni l'Appennino innevato rompe il fiato. Robbo, ispirato, recita piano pezzi de "L'infinito". Ai minuti seguono minuti. Anche Andy ci ha raggiunti:  non sa bene che fare e va su e giù per il corridoio. E mi distrae. Prende a fissare l'infermiere dalle braccia tatuate. "Che dici - mi fa -: se fingessi di cascare svenuto, mi soccorrerebbe?".Troppo surreale, abbozzo un sorriso. Finisce che ci scappa da ridere: stretti, abbracciati su una panca, al neon di una corsia. Di nuovo, finalmente, in tre.

giovedì 15 dicembre 2011

Il destino nel nome

Diciamo che avevo bisogno di sentire tirare le radici. E' la stessa identica ragione che mi riporta a Roma e che mi ha dato tanto da pensare in questi giorni di cronaca fatta di raid razzisti, rigurgiti nazifascisti e antisemiti e violenze fisiche e verbali che riaprono antiche piaghe, vorrebbero rialzare steccati, riportarci indietro, far regredire in senso civico e culturale.

Diciamo che ero molto stanca e con la testa molto appesantita e poco disposta a sentire pronunciare parole vuote. Avrei voluto vedere un amico ma poi l'uscita è saltata e allora sono entrata in un posto, convinta di sedermi e mangiare una cosa veloce dopo il lavoro. Sapevo che sarebbe però bastata un'occhiata per capirsi: è finita che ho conosciuto nuovi amici, che mi hanno letteralmente tirato nei loro discorsi. Mai visto nascere un senso di collettività tanto forte da una multa presa per un'auto in sosta vietata. "Figurati, faranno mica la multa a tutta via Washington!". Ebbene sì: multe per tutta via Washington. Lo so, forse, cosa sono, ma ho bisogno di più tempo. "Basta quello che senti - mi fa a un certo punto il mio nuovo amico -. Nu, adesso ci vuole un bel nome: per noi, ad esempio, da stasera ti chiami Rebecca".

lunedì 12 dicembre 2011

A forza di essere vento

 "Hanno ragione loro, gli zingari, un popolo che potrebbe veramente scrivere un capitolo importante della storia dell'uomo. Vivono su questo pianeta da migliaia di anni senza nazione, esercito, proprietà. Senza scatenare guerre". Penso alle parole di Fabrizio De André e penso che non possiamo restare indifferenti davanti a quanto accaduto sabato scorso nel campo rom della Continassa, a Torino. Il fatto che non ci siano state vittime o, per essere più precisa, dei morti, in un men che non si dica consegnerà questo spaventoso fatto di cronaca all'oblio, sarà sostituito da altri fatti, più o meno efferati e dolorosi.

E così l'assenza di memoria collettiva inghiottirà anche quest'ennesimo raid razzista, spegnerà i riflettori su quest'ultima notte dei cristalli scatenata da una bugia. Bugia dettata dal timore di una sedicenne portata a credere dalla famiglia, dai retaggi culturali, dalla pochezza delle vedute e delle prospettive che l'ambiente intorno a lei può offrirle, che la falsa condizione di stuprata sia più sopportabile di quella di chi fa l'amore per scelta. E anche questo meriterebbe un esame di coscienza.

La spedizione punitiva contro queste persone non permette di relegare nel dimenticato quel passato di pogrom di cui è fatta la storia della "nostra comune Patria europea", come l'ha definita nei giorni scorsi il Capo dello Stato Napolitano. Penso alla violenza psicologica, allo stato di soggezione psicofisica a cui magari è stata costretta a vivere e a crescere la ragazzina italiana della bellissima Torino. Mi sforzo di comprendere, ma davanti allo strazio e alla furia violenta e senza senso di quanti hanno appiccato il fuoco e lanciato molotov e nascosto coltelli sotto le giacche, acciecati dall'odio fine a sé stesso, sto male e mi vergogno. Un senso di vergogna per l'essere umana e di inadeguatezza come mi colse anni fa, visitando Auschwitz. Che poi divenne senso di riscatto, voglia di finalizzare, di dare un perché al privilegio che ci è stato concesso, quello di vivere.

Amo il popolo rom, amo la loro cultura, la loro musica. Ascolto le loro canzoni di melodie e parole tzigane fatte di violini, fisarmoniche, contrabbasso, tutti suonati velocissimi, quei loro testi che raccontano di dolore e di inni sfrenati alla gioia. E torno alla mia musica klezmer, quella di un altro popolo, accomunato dalla persecuzione e dall'essere oggetto di odio razziale. Insieme a sei milioni di ebrei furono sterminati anche circa 500mila zingari (si tratta di una stima, altre ipotesi variano dai 250mila al milione): i rom chiamano questo momento della loro storia porrajomos, "divoramento". Sono passati sessant'anni. Chi non ha memoria, non ha futuro.

lunedì 5 dicembre 2011

Il cielo è di tutti

“Il cielo è di tutti” canta Bobo Rondelli in una bella canzone che mi ha tirato fuori stasera la mia carissima amica Angela. Da ieri sono sotto attacco di “serendipity”: presente? Cercate una cosa e ne viene fuori un'altra. Cercavo stampe di Emanuele Luzzati, sotto i portici di Torino: arrivati in piazza Castello ci siamo trovati davanti i personaggi del suo presepe. Sfogliavo un libro sugli orti e mi è venuto in mente il mio carissimo amico: ho appena scoperto che ne ha appena scritto uno anche lui. Ho iniziato a sfogliarlo e si è aperto al capitolo “Il giardino in carcere”. Guardando alcune foto dal mio nuovo editore, ho ritrovato un altro amico, perso di vista da un po'. Ho pensato molto a Diego, alla fine mi ha chiamata.

Come da copione, alla vigilia di tutti i miei compleanni, sono intristita. Evidentemente non ho un buon rapporto col tempo che passa, inesorabile e inevitabile, non ce l'ho mai avuto. Ho però trovato il pensiero affettuoso della mia amica Roberta, prima di tutti, prima che qualcun altro glielo ricordasse: era lì che mi aspettava, mentre io vagavo ancora per Milano.

E mentre mi perdo a pensare a Roma e al da farsi, scampanella Andy, su di giri perché un commesso a suo dire bellissimo lo ha invitato a colazione. “Il mondo intero si fa da parte quando vede un uomo che sa dove va”: lo ha agganciato così, mentre la mia tata scalpitava in coda alla cassa brandendo una bottiglia di vino. É ancora in estasi: “Finalmente un uomo originale, no?”, mi fa. Prendo il cavatappi e soffoco la maestrina che è in me: la frase è di Saint-Exupéry. No che non glielo posso dire.