domenica 6 febbraio 2011

Per quando noi non ci saremo

Qualcosa è cambiato, dite? Non lo so. Qualcosa cambierà? Non so nemmeno questo, più che altro ho quasi paura a rispondere. E se poi non cambia niente? Un momento, mi sale l'ansia, provo a chiederlo anche a Roberto, che era ieri con me al Palasharp di Milano. Ci vorrà tempo, dice. Ad ogni modo, è più ottimista.

Certo è che mi sono sentita meno sola, meno fessa nel perseverare a cercare di essere una persona migliore, una buona cittadina. "Vado a letto tardi anch'io la sera - ha detto nel corso del suo intervento Umberto Eco - ma perché leggo Kant". Allora è vero, no perché da un po' di tempo a questa parte cominciavo a sentirmi specie in via d'estinzione e faccio una gran fatica a rapportarmi con chi non la pensa come me. Prima cercavo il dialogo, ascoltavo le ragioni del prossimo, le anche accettavo. Adesso mi incazzo e mi viene solo un gran mal di stomaco.

Giornali e tv dicono che eravamo in diecimila. Eheheh, hai voglia a screditare e a far finta di niente: certo, il processo di rincretinimento dell'italiano medio, partito col Drive-in, ha fatto i suoi danni. Ma come in tutte le tragedie, ci sono gli scampati. Come a Hiroshima, come alla Shoah, come alla campagna di Russia. Ma sarà un processo che richiederà anni e fatica, riparare ai danni fatti sarà lungo e difficile.

Quello che serve all'Italia, più che il semplice rinnovo dell'intera classe politica, ormai, temo sia una profonda mutazione antropologica. Ci vorranno decenni, ad essere ottimisti. Nel caso, noi non faremo in tempo a vederlo, nemmeno i nostri figli. Ma tocca far presto, anche se la scienza progredirà e quindi i nostri nipoti avranno un'aspettativa di vita più lunga della nostra.

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