martedì 14 febbraio 2012

Bianca

Di lavoro non si deve morire. Lacrime e applausi, ieri, in tribunale a Torino alla lettura della sentenza di condanna a sedici anni di carcere per i vertici della Eternit, la multinazionale svizzera dell'amianto. "Non deve succedere, - sento rispondermi, tra le chiacchiere da bar -. Si rischia che poi nel nostro Paese non viene più a investire nessuno". E no, caro amico, nel migliore dei mondi possibile non dovrebbe accadere: non dovrebbero finire in carcere proprietari delle ditte e datori di lavoro, perché nel migliore dei mondi possibili non si lasciano i tuoi simili a lavorare dove viene messa a repentaglio la sicurezza, la salute, l'integrità psichica e mentale. Non si calpesta la dignità e i diritti, in primis quello alla salute, dei lavoratori, nel migliore dei mondi possibili. Non si lasciano i figli senza i padri, né le vedove o le madri mutilate, a causa del lavoro, nel migliore dei mondi possibili. Quello che è avvenuto ieri a Torino è solo il primo tassello, verso un mondo del lavoro più equo e giusto. Ma moltissimo resta da fare, in questo nostro Paese. Basti guardare a come cresce, giono dopo giorno, il numero di quelle che quasi beffardamente vengono chiamate "morti bianche" (perché 'bianche', che vuol dire? Cos'è che conferisce candore?). Quanti lanci d'agenzia mi scorrono sotto gli occhi ogni giorno, quanti altri morti restano senza nome e senza cronaca.

Il tema del lavoro ci distoglie gli occhi e il cuore da quella che ormai ci siamo abituati a chiamare "emergenza freddo". Ed emergenza, a casa mia in Abruzzo, lo è davvero. I miei non hanno mai visto niente di simile: auto letteralmente sparite sotto il manto della neve, strade inagibili, interi paesi isolati. Cumuli alti, in media, un metro e mezzo. Anche la luce è bianca e abbaglia, tutto si ferma: "All'inizio incanta e resti senza parole, Ci': poi passano i giorni e scopri di esserne prigioniero". Così mio babbo, vero uomo di passi e altura, dopo la prima settimana. Un febbraio antico, che riporta solidarietà tra vicini, quella dei più giovani verso gli anziani e le famiglie. La magia di veder scendere lupi e cervi fino in paese, in cerca di cibo, tra il silenzio e l'odore della legna che brucia nei camini.

A Milano fa solo tanto freddo: chiusi in casa, telefoniamo giù e guardiamo le foto che amici e non pubblicano su Facebook. E allora li sento tutti più vicini: i ragazzi de L'Aquila che sciano e fanno snowboard sul corso e davanti la chiesa di San Bernardino (che il centro della città non muoia, anche se isolato da tutto), un'anziana di Collelongo che porta via da sola la neve che le ostruisce la via di casa, servendosi di una carriola, il reportage di Paolo Rumiz, bellissimo, rimasto bloccato alla locanda della Bianca, a Balsorano. Tutto rallenta anche a Milano: l'Ebreo errante che col freddo resta di più a casa, gli amici che passano i pomeriggi a provare ricette e raccontarci storie. Neanche fossimo finiti nel Decameron. Senza vasi di basilico, però.

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