venerdì 13 aprile 2012

La traccia aperta di una ferita

Cambio di stagione o congiuntura astrale, stanchezza o il fatto che a Roma c'era caldissimo e a L'Aquila il solito inverno pieno, a Milano è piovuto come non ci fosse domani mentre a Torino sono stata spazzata da un vento alpino che ciao. Sarà quel che sarà, da una decina di giorni mi porto addosso una mezza influenza, un'infinità d'acciacchi e il divieto assoluto di uscire e stancarmi, almeno per un altro paio di giorni.

Cavalieri erranti, sorelle nell'arte e nella vita, compagnie di viaggio di varie latitudini si avvicendano tra le mie pareti. Giorni di Lega e di esodati, di Borse a picco e di Paese che non cresce. In casa intanto si parla di destinare a chi il 5 per mille, di cosa fare delle tragiche scatole di Israeli Matzos avanzate che popolano la mia dispensa (io opterei di riportarle in negozio, la mia amica romana di trasformarle in pizzarelle col miele, se no “te vanno 'n giro fino a Purim”, mi allerta). Realizziamo che oggi al cinema esce 'Diaz' di Daniele Vicari e cala il gelo.

Andare a vederlo è un dovere civile, scrive Antonio Scurati su La Stampa di oggi e sono sostanzialmente d'accordo. Impossibile restare comodi, certo, sulle poltroncine rosse davanti a quelle scene da Cile di Pinochet. Viviamo in un Paese senza memoria e anche le scialbe cronache di questi giorni lo testimoniano. Riusciamo a dimenticarci anche delle grandi ingiustizie, insabbiamo scandali, siamo bravissimi a scrollare spalle, a chiudere occhi, a non informarci per andare a fondo nelle questioni, a rassegnarci anche davanti ai torti subiti e ai gravi soprusi di ogni genere che vengono commessi sul suolo patrio. Siamo il Paese del tirare a campare, del “tanto lo fanno tutti”, del “loro, invece noi”. Degli errori però va preso atto, vanno riconosciuti e riparati – se non ci piace dire puniti -. Chi sbaglia va ripreso e aiutato a comprendere l'errore ed educato a non commetterlo più. Altrimenti diventa orrore. Ovvie, facili, scontate, queste mie parole, ma quanto puntualmente disattese. 

A Genova fu dato un ordine scellerato? Fu libero arbitrio? Una vergogna nazionale, senza dubbio, da tramandare ai postumi. “La più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la fine della Seconda guerra mondiale”, l'ha definita Amnesty International. Su una cosa non sono affatto d'accordo con Scurati: la ferita non è sanata, è diventata piaga, perché nell'Italia di allora, come in quella di oggi, la tortura non è reato. E finché perdurerà questa mancanza – che fa tanto male quanto l'impunità dei responsabili di quel massacro – non possiamo nella maniera più assoluta dormire sonni tranquilli.

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