Si chiama "Esperanto" l'ultimo capitolo di Tra amici, opera di Amos Oz da poco pubblicata da Feltrinelli, tra le sue che amo di più. Una storia che va a incastonarsi a meraviglia tra le altre che raccontano la vita al kibbutz Hulda. Ci sono i ricordi dentro, suoi che diventano anche miei. Ci sono i miei nonni e mio papà e allora sento l'impellenza di fare aliyah nonostante l'Errante scuota la testa e sorrida: "Come vuoi che te lo dica, in esperanto?", gli avrebbe chiesto tra il serio e il faceto la mia maestra Rita.
Esperanto e bye bye, Babele. Lo dico e la mia amica traduttrice mi guarda allarmata dallo spettro dell'ipotetica disoccupazione, angosciata come l'avessi messa a sedere su un timer a orologeria. Lo dico e penso alla mia sorella nell'arte insultato per strada a Roma mentre Milano ritrova il suo festival Mix, quest'anno alla 26esima edizione, sempre con una rassegna di film emozionanti e di qualità.
Esperanto, tanto per riuscire a rendere ovvio e scontato a chicchessia che i diritti civili sono diritti universali e che come tali spettano a ciascuno e che non c'è giustizia né Stato civile finché siano appannaggio solo di alcuni.
Esperanto, ha la stessa radice di "esperanza".
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