lunedì 1 aprile 2013

Quando senti il sole

"A costo di appenderti e di tirarti su io". Anche se mi ha sfondato il cuore?, chiedo al telefono al mio amico da Roma, a cui ha portato via il padre. "Te la devi riprendere o non ne esci più", mi dice mio babbo, anni di soccorso alpino e amici visti inghiottire. Lo sento da me, che è ora di tornare a sentirmela addosso, la montagna. Di fare i conti contro la roccia, di urlarle contro e di riacquistarne fiducia. Come di colpo, nel mezzo di una mattina di sole, guardandomi allo specchio: richiamo, bisogno di fisicità esclusivo, di lasciarsi penetrare. Anche se mi basta pensarla per sentire ancora dolore. Anche se no, non la posso perdonare. Riparto dalle mie, infatti: affetti, silenzio, aria, nodi alla corda. Le mani, la magnesite.

Entra Pesach, esco dal mio Egitto ed è bellissimo. Capisco finalmente quello di cui voglio occuparmi, di chi voglio circondarmi. Poi arriva finalmente anche Shabbat ma Milano perde Jannacci. Ci sale una gran voglia di trovarci a cantare, andiamo dall'Hidalgo. Cominciamo a farlo dalla tromba delle scale: "E allora sarà ancora bello quando ti innamori, quando vince il Milan, quando guardi fuori...". Racconto di un primo maggio di qualche anno fa, quando Enzo ha improvvisato un breve concerto alla palazzina Liberty. Lo stesso angolo di Milano dove nel 1974 ha suonato insieme ad altri per festeggiare la vittoria al referendum per il divorzio. Andarlo a salutare ci è sembrato doveroso.

Entra nel vivo anche l'ultima fatica dell'Errante, che esce in settimana. Due anni di sudori e notti in bianco, hard-disk scarrozzati in giro e testate nei muri, riunioni e discussioni, crisi e pause, litigi e comunioni. Alla fine, è fatta. "E non ci credi ancora. Ne sei venuto fuori e non ci credi ancora. E c'hai la pelle d'oca e non ci credi ancora".

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