martedì 31 luglio 2007

Vent'anni di solitudine al Giambellino

Novembre 2006
Catena al collo, piercing appena sotto il labbro, braccia tatuate: “Il mio sogno e’ aprire la pasticceria in America: a Miami, Los Angeles, quei posti là, dove c’e’ sempre il sole, e’ sempre estate. Sarà difficile…per l’inglese poi imparo”. Non ha ancora vent’anni, lavora come pasticcere e al pomeriggio in pizzeria. Lo racconta agli operatori della Comunità del Giambellino, l’associazione che opera nel quartiere dal 1979. “In qualunque quartiere vai ognuno ti dice che il suo è quello più pericoloso, ormai lo è tutta Milano, anzi, tutta l’Italia”.

Occupazione abusiva di appartamenti, penuria di case popolari, microcriminalità e spaccio di droga, mancanza di controllo sociale e isolamento, massiccia presenza di stranieri che spesso fanno fatica ad integrarsi: più si cede terreno al degrado, più il degrado arriva. “Il problema del quartiere e’ nella ricostruzione di un collettivo – spiega Dario Anzani, uno dei coordinatori della Comunità del Giambellino, il responsabile dell'educativa di strada -. Il tessuto connettivo delle relazioni non esiste più, tutti i gruppi sociali sono separati gli uni dagli altri e in competizione tra loro per quelle poche risorse pubbliche che ancora in termini di servizi vengono messe a disposizione”.

Diversamente dalle altre periferie, il Giambellino ha sempre fatto parte del tessuto urbanistico della città. Realizzato nel dopoguerra per offrire case ai lavoratori delle industrie situate lungo il Naviglio Grande e la ferrovia Milano-Mortara, era il quartiere popolare ed operaio simbolo dell’accoglienza, della socialità, della solidarietà. Negli ultimi venti anni, invece, il depotenziamento del ruolo dei centri di aggregazione come le parrocchie e gli oratori e la scomparsa delle attività industriali, delle sezioni dei partiti, delle case del popolo e della piccola distribuzione - unitamente all’aumento del costo della casa e alla concentrazione delle persone con basso reddito nei quartieri periferici - hanno contribuito a creare isolamento, abbandono, degrado. “C’è silenzio, paura, solitudine e eroina”, descriveva così la Milano degli anni Ottanta Giorgio Gaber, che aveva reso celebre il bar del Giambellino vent’anni prima con la sua “Ballata del Cerutti”. La sola via Odazio, infatti, già alla fine dei Settanta, passava per il luogo di spaccio di eroina più grande d’Europa.

“La nostra associazione si è costituita attorno a Renato Rebuzzini, ‘prete di frontiera’ – racconta Dario Anzani – tra i primi a lavorare già dalla metà degli anni ’70 sul fronte della tossicodipendenza nel quartiere Baggio. L’associazione vera e propria è nata qui, noi vogliamo essere i ‘tecnici’ del Giambellino”. Dietro questa definizione, la scelta di lavorare sul territorio per conquistare la fiducia delle persone, conoscere i problemi specifici del quartiere, le sue storie. Tra i settori di intervento, anche quello diretto a prevenire e combattere il disagio giovanile: “E’ un luogo di ritrovo protetto, all’interno del quale i ragazzi possono fare esperienze di aggregazione, autogestione e co-gestione del proprio tempo libero, con l’assistenza dagli operatori. Mettiamo a loro disposizione spazio per iniziative specifiche e consulenza da parte di figure professionali competenti, facciamo educativa di strada, interventi di contrasto della dispersione scolastica, una grossa attività di doposcuola…”.

Il problema scuola si è ancor più acutizzato dagli anni Novanta ad oggi. Prima, racconta Anzani, ogni istituto aveva il suo bacino d’utenza: se l’alunno non poteva frequentare quello del suo quartiere, per cambiare aveva bisogno di un’autorizzazione: “Dopo il ’92, messi di fronte alla possibilità di scegliere dove iscrivere i propri figli, molti hanno preferito iscrivere i bambini alle scuole del centro. La super preoccupazione delle mamme era: “Io mio figlio alla scuola dei poveri e dei delinquenti non lo mando”.

Dal punto di vista dei giovani, tutto ciò esplode: la scuola media non li fa più incontrare, nelle strade non incontriamo più i gruppi di ragazzi che si son conosciuti in classe. In giro troviamo soltanto quelli delle scuole popolari: le prime volte che uscivo in strada dieci anni fa, il 20% dei ragazzi del gruppo non studiava. Adesso abbiamo la percentuale opposta”. E gli altri dove sono? “Sono chiusi in casa, attaccati a internet, con la mamma che li porta a danza e il papà alla scuola calcio, il ‘corsificio’ a cui siamo ormai abituati fin da bambini. Non esiste più il gioco nello spazio pubblico, il gruppo sulla panchina che non e’ condizionato dall’adulto o da un compito”. Secondo il responsabile della Comunità, elementi comuni a questo e ad altri problemi del quartiere, come l’occupazione abusiva delle case e la più generale ed endemica carenza di servizi pubblici, sono il livello bassissimo di comunicazione e la frammentazione sociale: “Non c’e’ solo il racket di chi ti dice quale appartamento occupare o di quelli che occupano mentre il vecchietto proprietario della casa e’ ricoverato in ospedale, ma siamo al punto che i vecchietti sono costretti a pagare affinché questo non succeda mentre escono a far la spesa al mercato”. Una donna rom vive con i suoi figli in una stanza. Sono in tutto 8 persone. Agli operatori della Comunità dice di pagare 484 euro ogni tre mesi. E la paura costante di essere sbattuta fuori casa. A questa poi se ne aggiunge un’altra, più dolorosa dell’indigenza: il timore di vedersi portar via i figli. Sono sempre più numerose, infatti, le donne che decidono di non rivolgersi neppure agli assistenti sociali. “Ci son sempre meno soldi per i servizi pubblici, c’è stato un taglio dei servizi sociali nel corso degli anni in conseguenza di tagli o dirottamenti degli stanziamenti ”, spiega Dario Anzani. “Nella nostra zona ci sono in media sette assistenti sociali e mezzo su un totale di 20mila minori, di cui più di mille in carico ai servizi sociali. Ma ormai il servizio sociale del Comune di Milano funziona soltanto su segnalazione del Tribunale. E perciò non va nessuno a segnalarsi”.

L'arrivo massiccio di stranieri ha poi contribuito a creare diffidenza, chiusura e isolamento. “Non mi sento sicura, c’e’ troppa presenza di zingari e persone non regolari”, si lamenta una giovane mamma con gli operatori. “Io ho paura perché c’e’ in giro di tutto , ci sarà stato anche prima, ma molto meno: drogati, non drogati, italiani, stranieri...” afferma un’altra donna. “Era bello, andavi in giro di sera, anche d’inverno, con la nebbia. Non avevi paura. Adesso sei a casa: cancelli, finestre a doppi vetri, tapparelle di ferro” considera Bianca Tadini, al Giambellino da una vita. I residenti accusano anche la mancanza di controlli e sicurezza nelle strade - “Il vigile di quartiere? Mai visto, chi è, quello che sta all’uscita della scuola?” chiede Claudio. “Al supermarket mi hanno tirato il carrello alla schiena e mi hanno detto: “Brutti italiani, noi comanderemo”, si sfoga una signora -, la sporcizia e l’assenza di rispetto degli spazio pubblici: “Ha cambiato l’armadio…Si può buttare l’armadio dalla finestra alle undici di sera?” si domanda Ione Malpighi. “Dov’e’ Milano pulita? Che se vègnen chi in via Odassio gh’è de mettes i man e i pè in di cavèi!” puntualizza ancora Bianca.
“Buona parte del problema – sottolinea Anzani – sta nell’assenza di una struttura che faciliti l’integrazione, pensata appositamente per far incontrare gli uni con gli altri”. In un mattino come tanti un gruppetto di rom bivacca nei giardinetti pubblici, donne con lo hijab vanno a fare la spesa al mercato comunale, i gestori sollevano le saracinesche delle loro macellerie halal e delle pizzerie, di mercerie e negozi di abbigliamento made in Usa: l’impressione è che il Giambellino sia in trasformazione. Continuare ad investire nelle risorse professionali e umane e valorizzare quelle esistenti è necessario, condividere esperienze e problematiche diverse è essenziale. In una città da sempre in moto perpetuo come Milano, un quartiere che può fare leva sulla sua tradizione di profondi legami sociali può fare da traino per altre realtà analoghe. Il Giambellino potrebbe essere un buon punto di partenza.

9 commenti:

Anonimo ha detto...

imparato molto

Anonimo ha detto...

necessita di verificare:)

Anonimo ha detto...

imparato molto

Anonimo ha detto...

La ringrazio per intiresnuyu iformatsiyu

Anonimo ha detto...

quello che stavo cercando, grazie

Anonimo ha detto...

good start

Anonimo ha detto...

leggere l'intero blog, pretty good

Anonimo ha detto...

good start

Anonimo ha detto...

Si, probabilmente lo e