lunedì 6 settembre 2010

Come me stessa

Una voglia tremenda di papaya, di quelle che ti prendono e non mollano più. Mi vesto e penso di scendere in strada per andarla a cercare. Mi serve un compagno d'avventura che non si formalizzi troppo per l'orario - mezzanotte e quaranta -. Allora telefono a Vinicio che ormai, come una brava tata, si materializza e mi asseconda. Cominciamo a girarci Milano in bicicletta, uno che pedala, l'altra che frena e si lamenta per il pavè. Un'auto ogni tanto, qualche tram che stride sulle rotaie. Guardiamo com'è la notte al Ticinese, in viale Abruzzi, via Porpora, piazza Aspromonte. E poi andiamo più su, tocchiamo la Bovisa, pensiamo ai panettieri, a chi lavora in radio, agli operai che passano ai tornelli a notte fonda, agli infermieri e ai medici negli ospedali. Isola, via Farini, il Monumentale, con i disperati che ci vengono incontro per qualche moneta. Ovviamente la papaya non l'abbiamo trovata. "Ordinanze anti-degrado", le chiamano. E lo scrivo mentre a Milano rimbalza il solito triste spettacolo sull'opportunità o meno di costruire una moschea. Che verrebbe usata né più, né meno per fare quello che la stragrande maggioranza dei cristiani fa in chiesa (esulando dal caso Claps e dalla tumulazione di De Pedis, ovvio). Osservo poco e pratico ancora meno ma "Ama il prossimo tuo come te stesso" non l'ho certo lasciato detto io, ai posteri.

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