lunedì 28 marzo 2011

Aridatece Bearzot

Non è retorica, non è neanche patriottismo spicciolo e non è perché fa tanto radical-chic. Ho il Tricolore alla finestra perché è quello del fratello di mio nonno Paolo, morto al ritorno del viaggio di nozze saltando su una una mina dei nazisti, e quello del fratello di mio nonno Lorenzo, fucilato tra i martiri di Capistrello. E' quello della zia Ori, staffetta partigiana, e quello della parte ebraica della mia famiglia caricata sui treni e portata nei campi di sterminio. E' quello di mio papà, che l'ha onorato in divisa, e quello del mio vicino di casa, arrivato anni fa col barcone della speranza.

"Pago le contravvenzioni, non ho amici negli uffici importanti e mi sarebbe penoso partecipare a un concorso (...). Sono italiano?", si chiedeva Ennio Flaiano nel 1957, prima che nascesse la mia mamma. Pago le tasse e la maleducazione altrui mi manda in tilt. Sono svedese? Mah, un po' sabauda senza dubbio.

Milano è la mia città, mi ha adottata, mi dà ogni giorno la possibilità di vivere e frequentare persone fuori dall'ordinario e guai a toccarmela ma di Torino sono perdutamente innamorata. Seguire le celebrazioni per il 150enario è quanto di più bello mi sia capitato ultimamente, assieme a"Salviamo l'Italia" di Paul Ginsborg, al Museo della montagna degli amici del C.a.i. e ai ravioli del plin. "Qual è lo scopo al quale tutti ci affatichiamo? Cos'è più difficile riunire, città e province divise o volontà e cuori divisi?". Massimo D'Azeglio si è anche risposto, io il post lo lascio aperto.

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