lunedì 12 dicembre 2011

A forza di essere vento

 "Hanno ragione loro, gli zingari, un popolo che potrebbe veramente scrivere un capitolo importante della storia dell'uomo. Vivono su questo pianeta da migliaia di anni senza nazione, esercito, proprietà. Senza scatenare guerre". Penso alle parole di Fabrizio De André e penso che non possiamo restare indifferenti davanti a quanto accaduto sabato scorso nel campo rom della Continassa, a Torino. Il fatto che non ci siano state vittime o, per essere più precisa, dei morti, in un men che non si dica consegnerà questo spaventoso fatto di cronaca all'oblio, sarà sostituito da altri fatti, più o meno efferati e dolorosi.

E così l'assenza di memoria collettiva inghiottirà anche quest'ennesimo raid razzista, spegnerà i riflettori su quest'ultima notte dei cristalli scatenata da una bugia. Bugia dettata dal timore di una sedicenne portata a credere dalla famiglia, dai retaggi culturali, dalla pochezza delle vedute e delle prospettive che l'ambiente intorno a lei può offrirle, che la falsa condizione di stuprata sia più sopportabile di quella di chi fa l'amore per scelta. E anche questo meriterebbe un esame di coscienza.

La spedizione punitiva contro queste persone non permette di relegare nel dimenticato quel passato di pogrom di cui è fatta la storia della "nostra comune Patria europea", come l'ha definita nei giorni scorsi il Capo dello Stato Napolitano. Penso alla violenza psicologica, allo stato di soggezione psicofisica a cui magari è stata costretta a vivere e a crescere la ragazzina italiana della bellissima Torino. Mi sforzo di comprendere, ma davanti allo strazio e alla furia violenta e senza senso di quanti hanno appiccato il fuoco e lanciato molotov e nascosto coltelli sotto le giacche, acciecati dall'odio fine a sé stesso, sto male e mi vergogno. Un senso di vergogna per l'essere umana e di inadeguatezza come mi colse anni fa, visitando Auschwitz. Che poi divenne senso di riscatto, voglia di finalizzare, di dare un perché al privilegio che ci è stato concesso, quello di vivere.

Amo il popolo rom, amo la loro cultura, la loro musica. Ascolto le loro canzoni di melodie e parole tzigane fatte di violini, fisarmoniche, contrabbasso, tutti suonati velocissimi, quei loro testi che raccontano di dolore e di inni sfrenati alla gioia. E torno alla mia musica klezmer, quella di un altro popolo, accomunato dalla persecuzione e dall'essere oggetto di odio razziale. Insieme a sei milioni di ebrei furono sterminati anche circa 500mila zingari (si tratta di una stima, altre ipotesi variano dai 250mila al milione): i rom chiamano questo momento della loro storia porrajomos, "divoramento". Sono passati sessant'anni. Chi non ha memoria, non ha futuro.

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