giovedì 28 aprile 2011

Pacem in Terris

Quando salgo sul treno che da casa dei miei mi porta a Roma e poi a Milano è sempre tragica. L'aereo avvicina, la macchina ti dà il senso del viaggio, la bici diventa una tua estensione ma è il treno ad essere il mezzo degli addii, non c'è che dire. Poi il fatto che l'ultima cosa di casa che l'occhio abbracci sia il Velino la dice tutta del resto. Ogni volta rivedo tutta la mia vita scorrere dal finestrino: gli oggetti, i volti delle persone, le città dove metto piede.

Niente montagna, 'sto giro, "perché non ha voluto", come ha detto mio babbo. E quando la montagna non vuole va rispettata e basta. Allora ho passato i miei pochi giorni di tregua ascoltando il gracidare delle rane dalla mia finestra. Sono tornate, nel laghetto del vicino, assieme agli aironi e a un'infinità di gazze. E il mio cane, che non mi perde di vista un attimo, come temendo le partenze improvvise.

Habemus Papam è un film bellissimo. Bentornato Nanni, uno dei suoi migliori in assoluto. Questa figura sofferente, talmente umanizzata nel suo timore di inadeguatezza, nel suo senso di profonda umiltà che è proprio solo delle creature migliori. Questo concetto di un Papa uomo tra gli uomini mi tocca profondamente. Il paragone è improprio e forzato, ma ho avuto in mente tutto il tempo il Celestino raccontato da Ignazio Silone, "L'avventura di un povero cristiano". Per me, uno dei libri fondamentali in assoluto. Accanto a Platone, Dostoevskij e alcuni passi di Dante, Pietro da Morrone.

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