domenica 20 novembre 2011

Povera Patria

Di Perugia mi manca il jazz. Aspettavo per mesi quelle atmosfere, poi finalmente arrivavano, in ogni angolo di strada, fin sotto il mio portone. E ci restavano per giorni, si lasciavano respirare, travolgevano il resto. Non conoscevo Avishai Cohen ma sentirlo – e vederlo – suonare, oggi a Milano, è stato un incanto totale. Fuoriclasse anche i suoi due musicisti: Omri Mor, al piano, e Amir Bresler, alla batteria. A sommare le loro età, non s'arriva a sessant'anni.

Come ogni persona dotata di media intelligenza e buon senso, in questi giorni ho accolto con favore, sollievo e speranza il cambio di governo e la costituzione di un esecutivo tecnico, in Italia: niente politici, solo un team di esperti a cui da qui ai prossimi mesi toccherà rimboccarsi le maniche e – finalmente – lavorare seriamente, con competenza e rigore. “Hai spaccato un Paese – ha scritto Massimo Gramellini su La Stampa rivolgendosi idealmente all'ex premier Silvio Berlusconi -, abbassato l'asticella del buongusto al livello dell'elastico degli slip, desertificato i cervelli di due generazioni di telespettatori, abolito il senso di autorità e quello dello Stato (…), sdoganato un esercito di fascisti, razzisti, squinzie e buzzurri. Soprattutto hai sparato una quantità inverosimile di panzane”.

Stamattina, davanti ai tanto giovani quanto bravissimi musicisti di Cohen, ho provato amarezza. Ho pensato che quanto accaduto negli ultimi vent'anni in Italia è qualcosa di criminoso: l'ascesa e l'affermazione prepotente del populismo ha soverchiato il talento, violentato il rispetto, l'importanza, il bisogno di cultura, ha annientato la meritocrazia (ammesso abbia mai avuto vita facile, anche prima). "Povera Patria", cantava Franco Battiato. Povera, sì.

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