lunedì 29 novembre 2010

Mario

La morte di Mario Monicelli mi lascia stravolta. Non riesco a vederci niente di "liberatorio", come più di qualcuno mi sta dicendo, niente di "dimostrativo" e men che meno una gesto "energico".
Che insostenibile pesantezza, doversi preoccupare per le parole degli altri.

Io invece non riesco a vederlo come un gesto liberatorio. Mi stravolge perché mi viene da vederlo come un gesto disperato, piuttosto, come una resa, come una disperata presa di coscienza, di mancanza di prospettiva, di una barca lasciata affondare. Insomma che non ne valeva più la pena. E non perché in odor di cattolicesimo: lo penso perché mi viene più facile da pensare a scene come nel film "Le invasioni barbariche". Un uscire di scena coraggioso, certo, ma preparato, calcolato, quasi un rituale, un non voler sprecare niente, della vita. Buttarsi così, mi lascia perplessa.
Spero abbiano ragione i miei amici Claudio e Angela, che era "incazzato più che deluso", "un gesto estremo per un uomo estremo, un atto di ribellione che non se ne vedono più. ciao mario, grande!". A me invece così sa troppo di resa. Mi dà proprio il senso del dolore.

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